Harold Pinter – Tradimenti

Leggere Pinter iniziando da “Tradimenti” equivale a viaggiare in Italia entrando da Venezia. C’è uno scambio di battute su Venezia nella commedia:

– Lo sa cosa manca a Venezia?

Cosa?

Il traffico.

In “Tradimenti” manca il traffico. Ossia il rumore di fondo delle commedie di Harold Pinter: la violenza verbale. Le parolacce, la violenza fra le persone. I suoi drammi sono di una violenza quasi surreale. Sembra inconcepibile che possano crearsi situazioni così violente in cui la gente rimane così tranquilla. Forse Pinter vuol dirci che siamo a tal punto assediati dalla violenza che ci abbiamo fatto il callo; ma che basterebbe un “click” nella nostra vita, un lieve inaspettato mutamento, per precipitarci in uno stato angoscioso, facendo irrompere la tragedia.

Ciò che rende particolare questa commedia è il montaggio. Si va a ritroso, dal 1977 al 1968. E’ come un affondare progressivo e irreversibile nei ricordi. Pinter ha reso un omaggio al “sentimento” per eccellenza con il linguaggio più asciutto e antiromantico che si possa immaginare.

Il linguaggio di Pinter è unico. Mischia umorismo e dramma. L’inventiva si è un po’ indebolita e schematizzata negli ultimi lavori. Opere a tesi. Ma nei primi è magnifica.

Leggetelo. Leggete Pinter entrando da Venezia. O da un altro punto qualsiasi.

* *

Pinter rappresentato da attori italiani è inguardabile. I nostri attori non hanno il “passo” pinteriano, recitano tutto con enfasi accademica. I testi di Pinter sono difficili da rendere, per la nostra cultura. Il suo uso del linguaggio è unico: smonta il discorso comune e lo ricompone in un modo che è insieme comico e drammatico. Potrei dire spietatamente comico. La comicità va totalmente persa nella recitazione italiana: un dramma di Pinter interpretato da attori italiani è privo di senso. Ho visto una scena di un suo lavoro, mi pare “Il bicchiere della staffa”, in TV, con una nostra compagnia. Noiosissimo.

Pinter parte dalla conversazione comune e la fa scantonare in un contesto surreale, quasi un universo parallelo, dove le personalità vengono alla luce loro malgrado, cozzando l’una contro l’altra: la stessa lingua convenzionale, che serve nella vita per mantenere buone relazioni,  nei suoi drammi si rivolta contro i personaggi, diventa un’arma tagliente con cui tutti menano fendenti a tutti e finiscono per esprimere un’aggressività inattesa ed estrema.

Albeniz “Malagueña”

Albeniz “Malagueña”

(n. 6 da “Recuerdos de viaje” op. 71)

pf Arturo Benedetti Michelangeli

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=gL0yrx9ylkg&fbclid=IwAR0YTah1VvOPXrgDCvmCxmXnk5irSA8K6F1l-GNJAQhyndjNfjg5XGGRyvw

 

La lunga introduzione in terzine arpeggiate e in scala, poi in note puntate, quasi un pizzicato di chitarra, è il morbido panneggio entro il quale si srotola la voce cantilenante del primo tema, che Benedetti Michelangeli mantiene sul filo di una canzone popolare dai toni squillanti, ma venata di ventosa tristezza.

Due mordenti aprono il nostalgico tema centrale, che il successivo Adagio rinfodera nel ritmico beccheggio delle terzine iniziali, in seno al quale rinasce il primo tema che ci accompagnerà sino al luminoso arpeggio acuto finale.

Attorno a questa indolente, sognante danza andalusa, Benedetti Michelangeli erige un muro d’ombra e di distanza, che accresce il nostro desiderio per il suo irraggiungibile, torpido incanto.

Albeniz – Granada (pf Luigi Di Ilio)

Il passo posato con cui Luigi Di Ilio esegue “Granada” rende bene il caldo abbraccio nostalgico che pervade questo capolavoro di Albeniz.

L’arpeggio rapido e insistito sul primo tema suona come un accompagnamento di chitarra: è quasi un invito alla trascrizione, che Segovia non si è fatto sfuggire.

Il tema della sezione centrale, che s’intreccia col primo, è una delle cose più delicate di tutta la musica iberica. È una finestra che si apre sul rimpianto, con toni di tenerezza infinita, sottolineati da un leggerissimo rubato. Toni che traspaiono meglio dall’originale che dalla pur suggestiva trascrizione per chitarra.