Mi sarebbe piaciuto vivere un’altra notte, ma come superare la stanchezza poetica,
come portare il piombo tagliato, respingere tanti lamenti?
L’invasione lunare copre la valle di licheni, un dio blu si inerpica sul mondo e di lì scruta le cime dell’erba.
I palazzi svoltavano, io ero e sono amareggiato perché il gregge è simbolo di città e non di campagna
e le piastre su cui cuoce il pane sono più fredde del silenzio.
Il pane verrà con la vittoria, un domani,
c’è da sperarlo, dico ai miei pastori: intanto radunate le campane, modulate la terra,
comprate ciambelle e sostituti meccanici della salvezza.
Resto fra i medicinali, sperando
e ricominciando a camminare, dipingendo fiori selvaggi
sulle fronti bianche. Vedrete che il diluvio porterà una carta di colomba
con un intero uliveto. Vedrete a marzo
quanta abbondanza latente, quanti fichi di pioggia, che reti ventilate;
si terrà un’assemblea comunale o un consiglio di amministrazione per disperdere i fondi
perché la raccolta sarà un privilegio di pochi ricchi, e gli altri sfonderanno i cancelli
mimetizzandosi con cestini da viaggio o giardini zoologici.
Sentirete il fischio, il raglio della luna, le giornate come girandole appese al tempo;
piangerete, perfino, per il solletico dei sapori estivi,
leggerete libri appesi agli alberi come le serpi appisolate sui muri orizzontali.
Ci sarà una sola grande festa settaria, un solo colpo di striscio
e un solo barile di folla, e una sentenza depositata sulla piazza,
poi finirà, quasi tutto, per ricominciare a poco a poco
e crescere e di nuovo assottigliarsi, ma insieme al fuoco
sotto la frutta, come i bracieri sulle terrazze.
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1971