All’orizzonte le chiome della laguna

All’orizzonte le chiome della laguna:

il loro rosso fastoso fa arretrare i cavalli,

sequestra le lingue nelle logge,

veste di apoteosi i dignitari ducali.

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Sul canto delle sponde

un gonfalone di fiori trionfanti.

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Un proemio di luce naturale

si srotola sul corso

di arredi bianchi e vincastri

recati al fuoco nuovo.

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24/2/2024

Nei distretti della sera

Nei distretti della sera

arranco fra i vicoli

familiarizzo con lo strame

sbuco tra fuochi e almanacchi

accaldato, sgusciando

fra leggerezza e oppressione,

documentando le anime selvagge

che spiano con occhi spauriti

dagli impiantiti e dai muri

e corrono leste in diagonale,

spremendo le ferite,

velivoli col cuore in gola.

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13/11/2023

Estrarre la cavernosa ispirazione

Estrarre la cavernosa ispirazione dagli alveoli della terra. Maneggiarne con cura le nude porosità. Blandirne le impudiche madrepore.

L’arcana lezione al passaggio solleva cavalloni di polvere sul piano di fòrmica nera.

Il vantato fuoco rattenuto, dall’aroma di robinia, dal suono di conversazione monolitica, sventola fiammelle disordinate sul terreno. A malapena rischiarano il passo dell’esegeta infreddolito.

Altre cannule incandescenti fra i capelli attorti, vasi di pressione sonora e micce musicali: fruscia la notte rubizza conclusa nelle orecchie; il toporagno corre sull’accordo diminuito.

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3/11/1985

Quale pudore mi trattiene

Quale

pudore mi trattiene

dal dire: “siedo e penso”?

Il quartiere mi gravita intorno come una giacca,

distribuisco la folla nei viali,

annuso vie, edifici,

volto strade come pagine.

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Fedele all’iniziativa cosmica, alla novità del dovere,

abbandono le famiglie e il ginepro

per piantare, tra l’amante e il volto,

l’ala del gesto nelle commessure silenziose.

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Gli arazzi, i vessilli

(il loro risciacquo sulle pietre intontite)

gli accessori e ciò che è modesto

attendono con bramosia di folla

il compiersi dell’immensa sagra, da cui li esclude

non un decreto né un pulpito, ma un lavorio di paziente acrimonia,

un acciottolio di volumi stridenti.

Parole irsute e cenni esaltati

si accalcano ad ogni passaggio

della pialla sul mondo, come trucioli minacciosi.

Invano mi schermisco:

eroi mostruosi, dai monili guerreschi,

e picchi e alberature deformi, e oggetti straripati dal Suono,

fra cui dicotiledoni, ed aspre citazioni mi catturano:

curiosanti drappelli di Mirmidoni

malva e pervinca

dalle teste incidentalmente affioranti

con cappelli di torba, di raschio, d’ugola

ed ancora il colore allo sbaraglio,

la corsa senza moto e senza luogo,

il cielo che astutamente finge il volo degli uccelli.

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Non v’è dolore in questa riscossa verticale,

totale, dell’amaranto: v’è arsura

come di fuoco spalmato sui muri,

fuoco grezzo, slittato

da poderosi versanti,

fuoco di ciglia, elastico,

prometeico, inutile,

come l’invetriata contro la vita.

Sospiriamo, al di qua dei vetri.

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15/5/1982

Si avverte lo sterminato ronzio del primo Largo

Si avverte lo sterminato ronzio del primo Largo

che giunge con vele decise su laghi di screzio

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Tutt’intorno ferve il poema con aspra ridondanza

e tessiture riprese, tuffi di sagome e cupo rigoglio

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È necessario il pianto pieno, la lira di stordimento, lo scalpello d’orbite notturne

incartocciati nel fuoco che s’incammina sulle ossa

sorridendo vile, incrementando le età, affilando polveri.

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La vittoria non è mai dello scafo, è della pinna

il fasciame reclino attende la vasta petulanza

il mare, rattrappito dietro un sasso,

non lancia la sua gente d’acqua e disordine.

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20.12.1979

Si vorrebbero versi dalle braccia di solstizio

Si vorrebbero versi dalle braccia di solstizio

versi dal passo ventilato e magro

dalle labbra inospitali

si vorrebbero versi carichi di pietre e cuciti di giungle

versi di sabba e di costole

si vorrebbero ritessere i broccati

ridardeggiare i fuochi scagliati

reincarnarsi in un dinamismo di renne perpetue

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1977

Mi sarebbe piaciuto vivere un’altra notte

Mi sarebbe piaciuto vivere un’altra notte, ma come superare la stanchezza poetica,

come portare il piombo tagliato, respingere tanti lamenti?

L’invasione lunare copre la valle di licheni, un dio blu si inerpica sul mondo e di lì scruta le cime dell’erba.

I palazzi svoltavano, io ero e sono amareggiato perché il gregge è simbolo di città e non di campagna

e le piastre su cui cuoce il pane sono più fredde del silenzio.

Il pane verrà con la vittoria, un domani,

c’è da sperarlo, dico ai miei pastori: intanto radunate le campane, modulate la terra,

comprate ciambelle e sostituti meccanici della salvezza.

Resto fra i medicinali, sperando

e ricominciando a camminare, dipingendo fiori selvaggi

sulle fronti bianche. Vedrete che il diluvio porterà una carta di colomba

con un intero uliveto. Vedrete a marzo

quanta abbondanza latente, quanti fichi di pioggia, che reti ventilate;

si terrà un’assemblea comunale o un consiglio di amministrazione per disperdere i fondi

perché la raccolta sarà un privilegio di pochi ricchi, e gli altri sfonderanno i cancelli

mimetizzandosi con cestini da viaggio o giardini zoologici.

Sentirete il fischio, il raglio della luna, le giornate come girandole appese al tempo;

piangerete, perfino, per il solletico dei sapori estivi,

leggerete libri appesi agli alberi come le serpi appisolate sui muri orizzontali.

Ci sarà una sola grande festa settaria, un solo colpo di striscio

e un solo barile di folla, e una sentenza depositata sulla piazza,

poi finirà, quasi tutto, per ricominciare a poco a poco

e crescere e di nuovo assottigliarsi, ma insieme al fuoco

sotto la frutta, come i bracieri sulle terrazze.

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1971