Si affatica sull’erta il violoncello

Si affatica sull’erta il violoncello

che non ambisce alla gloria ma a spezzare

la pietra quotidiana

gemendo di preghiera,

risalendo la china della luce,

straniero tra i nidi del gorgheggio,

oscuro agli amanti

di vaghe barcarole

rapiti da un frullo di sandali

nelle indolenti astanterie del mare.

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Noi che chiniamo la testa al rigore

del suo aratro di stento, che apre i nostri

territori di cuoio,

sostiamo attenti all’attimo

trepido in cui l’archetto

inaspettato busserà al cuore,

alla sua voluttà di eruttare.

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20/2/2024

Si abbatte il lago di ferro

Si abbatte il lago di ferro

centrifugando foglie,

deformando la corsa

degli animali nel lenzuolo verde.

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Il raggio indaco espulso dal suo cuore

riga il costato del cielo.

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Vagano genti orfane del lago

flagellate da angeli vuoti.

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26/12/2023

Nei distretti della sera

Nei distretti della sera

arranco fra i vicoli

familiarizzo con lo strame

sbuco tra fuochi e almanacchi

accaldato, sgusciando

fra leggerezza e oppressione,

documentando le anime selvagge

che spiano con occhi spauriti

dagli impiantiti e dai muri

e corrono leste in diagonale,

spremendo le ferite,

velivoli col cuore in gola.

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13/11/2023

La memoria sbendata rigurgita

La memoria sbendata rigurgita

voci e volti fruscianti,

abbracci infreddoliti,

calpestii, tracce perse

e colonie di granchi attanagliati

salmerie trasversali al cuore.

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Passo, accarezzo veli

e membrane di luce debole

stampigliate di spente presenze

(lo sguardo di sottecchi corrucciato

mi rinfacciano ciò che non ritorna)

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13/12/2022

Con mille donne mi corico

Con mille donne mi corico

gravato di abbracci e tenere nenie tenute.

Mi sveglio assieme alla freschezza sola

mulinando un limpido idioma

sferzando numeri

con uno stocco flessibile e preciso.

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Lingueggia il dovere grave:

con passo cauto mi sottometto;

tentenna la meccanica delle ossa

riavvolgendo il letargo.

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Questi quartetti dalla bocca densa

da rimestar nel paiolo:

oh la felicità sùbita

slegata trillante

del cuore impreparato e immaginoso!

Vergogna perfino di esclamare;

no, l’impossibile leggerezza;

lo sguardo cacciato nel buio piramidale,

sonda che viaggia infinitamente:

riversa sulla sabbia, la piramide

mostra la base di carne rossa e lacrimale liquido.

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16/10/1985

Ho pieno il cuore di segni leggendari

Ho pieno il cuore di segni leggendari

e di scosse, al tinnire dei crepuscoli

nelle cisterne.

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Dipingo un atto dopo l’altro

e m’illudo che in fondo

rifulga la catarsi.

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Caracolla la notte travisata

manovrandomi le orecchie stizzose.

Quest’ennesima torva scaramuccia

mi lascerà insaziato a domandarmi,

seduto sul crinale,

che cosa vive, che cosa non è strano.

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11/11/1982

Arioso

Il villaggio strumentale versa dal fianco il suo spumante di frasi intermittenti sull’area monotona degli astanti; con aerei calzari imprime rapide sofferenze su quelle teste appagate; marosi di note salgono ai loro occhi, attentano alle scriminature in ordine.

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Noi che, usciti dal rosso minerale

del sonno, in stazioni d’alta quota,

leviamo avidi, nel calice, la febbre,

non riudremo, in salotti sconsacrati,

l’avvenente celeste scalpiccio

dei clarini, la bianca solitaria

cavata della viola, od il profondo

tuffo dei timpani nel cuore.

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In scontrosi deserti capovolti

il cui soffitto di dune il grido irriga

d’equipaggi in pericolo,

arrostiremo in dispetto lucertole

d’ora in ora smarrendo della mente

il volo indeclinabile.

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19/8/1982

Con rumore di infinità si urtano

Con rumore di infinità si urtano sul camion i bidoni di tenebre

correndo verso il crepitio dei rami bianchi

sotto i passi bagnati della luce.

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Calpesto un liquido interminabilmente nero che si versa dalle mie tasche,

fermentato con tuoni urticanti, apoplessie stranamente sorridenti,

arti di portentosi vasai che sagomano il cuore.

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Sciolgo i viticci e i dubbi femminili

di pellegrine che mi si affiancano con capelli interrogativi:

la loro veloce gratitudine

rischiara la direzione del mio sonno.

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Il viandare si perde brevemente in un coro

lanoso, che movimenta l’orizzonte.

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Siedo, e mi accerchia l’aria:

tiene a distanza il tempo coi suoi falchi

e gli uomini e le loro libagioni;

mi lascia

la punitiva intimità del cruccio.

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Dèi paludosi vengono in nostro soccorso

dardeggiando cinabro, arcuando i dorsi terribili,

inforcando cavalli di corno e meteoriti:

snidano gli avversari dal fondo del baco,

sciolgono i crocchi nei viali sottomarini,

commissionano elogi a cronografi imbellettati.

Li guardiamo combattere,

impoltroniti sognatori di future rovine.

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Solo nenie fioccano sui nostri campi bianchi,

la durlindana dorme nella buccina,

scolorita vetraglia

ritorna dalla pioggia.

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È un attonito e stracco almanaccare

sui panni trepidando sciorinati,

un’attenzione vischiosa al metronomo

che si attesta nel nostro respiro.

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Con rumore di immensità si urtano sul camion i sacchi di tenebre

in corsa verso il luogo dove crepita il ramo bianco della luce.

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7/5/1982