Chopin – Preludio n. 15 op. 28

Chopin – Preludio n. 15 op. 28 – Goccia d’acqua

pf Ivo Pogorelich

In questa incisione abbiamo il Pogorelich dei tempi felici, il ragazzo che si affida alla sua fervida intuizione per rinnovare i volumi e i piani sonori, facendoci inoltrare in una visione incontaminata, ma non per questo eccentrica, di brani già notissimi, dei quali svela nuove dimensioni laddove sembrava che non ci fosse più nulla da dire.

Uno dei tratti caratteristici di Pogorelich è la dilatazione del tempo, che non viene però usata come espediente meccanico per mettere in risalto le singole note – forzare l’agogica non è il modo migliore per rendere lo spirito di un brano o coglierne le sfumature dei singoli passaggi; ma per creare un clima sospeso in cui pronunciare la sua particolare visione, di frequente non ortodossa ma sempre carica di sensibilità nuova.

Nel Preludio n. 15 le fasi che si muovono attorno alla nota cadenzata, aprendo quinte attraverso le quali si snoda una brevissima ma travagliata storia che alterna momenti lirici e drammatici, saldamente connessi da un’alta tensione emotiva, sono raccontate da Pogorelich con una purezza e un’intensità esemplari.

Ho parlato di fasi del Preludio con riferimento ad alcune riflessioni che avevo svolto tre anni orsono sulla sua struttura, e che riporto qui per confrontarle col percorso tracciato dal pianista croato.

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Il titolo “Goccia d’acqua”, non di Chopin, è tanto azzeccato da divenire condizionante. Presi dalla sua elementare suggestione, siamo restii a cercare altro e ci lasciamo portare alla deriva dalla sua indicazione già pronta, come sognatori inconcludenti che appoggiano la guancia alla finestra rigata dalla pioggia.

Se però tendiamo i nervi, se le nostre facoltà percettive rimangono vigili, scopriamo il mondo nascosto dietro quella oleografia.

La mano destra disegna una linea melodica semplice e tenera, mentre la sinistra insiste su una nota, che però è ben altro che una semplice “goccia d’acqua”.

La melodia è la rappresentazione di una palpitante visione interiore, vagheggiata con desiderio ma anche col timore che ci sfugga, che si dissolva prima che la possiamo afferrare: questo timore è incarnato dai movimenti della sinistra, da quella nota che pulsa come la nostra ansia repressa. La visione si fa via via più carezzevole, sfiorandoci la guancia con le sue diafane dita.

La scena cambia: il basso ha il sopravvento, mettendo a tacere il tema idillico; la nota ribattuta insiste, scortata dal montare di accordi minacciosi; si trasforma in ottava, si impadronisce della zona superiore e cresce di tono; poi lo schema si ripete: di nuovo le note ribattute, sottovoce, e ancora le ottave che squillano come trombe, incitando gli accordi inferiori a muovere su di noi come armate nemiche.

La melodia ricompare nella mano destra, ma come straniata, impaurita, implorando aiuto con accordi dissonanti. Ha un crollo; rallenta, quasi vinta. Sembra che ormai sia venuto il momento di soccombere; ma no, si volta pagina e il preludio ricomincia come prima. L’angoscia che ci aveva avvolti svanisce. La nota ribattuta non mette più ansia: è un battito ormai familiare, è il cuore che riprende le sue pulsazioni regolari. L’ultima apparizione del tema si disperde esitante nel vuoto, lasciandoci stupefatti e desiderosi di solitudine.

Mozart – Concerto per clarinetto K 622 – Adagio

L’Adagio del Concerto K 622, l’unico per clarinetto composto da Mozart, è un esempio luminoso e toccante, insieme all’Ave Verum Corpus K 618, dell’occasionale avvicinamento dell’ultimo Mozart alla potenza salvifica di una visione trascendente.

Vi si legge un abbandono inerme al cammino segnato, una fiducia fanciullesca e illimitata nel potere rasserenante della musica, che chiude le porte alle tempeste e ai turbamenti e si innalza, simile a uno stelo inconsapevole della falce, verso le regioni più pure dello spirito.

Albeniz – Pavana-Capricho op. 12

Albeniz si orienta fin dall’inizio su melodie di sapore popolare e ben ritmate. Questo pezzo di ispirazione semplice si sviluppa fra l’esposizione e la ripresa di un primo tema umoresco, in cui è racchiuso un intermezzo di carattere nostalgico-rapsodico, che si scioglie nei passi di una danza andalusa.

È un gioiellino, valorizzato con dinoccolata eleganza da Alicia De Larrocha, qui nel pieno del suo elemento.