Beethoven – Trio op. 121a

Beethoven – Trio op. 121a

sull’aria “Ich bin der Schneider Kakadu”

dall’opera “Die Schwestern von Prag” di Wenzel Müller

pf Alfred Cortot, vl Jacques Thibaud, vc Pablo Casals

https://www.youtube.com/watch?v=cdLEn789-g4

Una composizione poco frequentata di Beethoven è il Trio per violino, violoncello e pianoforte op. 121a – Variazioni sull’aria “Ich bin der Schneider Kakadu” (“Sono il sarto Cacatua”). L’aria è tratta da un’opera piuttosto popolare al tempo di Beethoven, “Le sorelle di Praga” di Wenzel Müller.

L’autografo delle Variazioni è del 1816, ma la prima stesura del brano risale al 1803, come risulta dalla corrispondenza intrattenuta da Beethoven col fratello Karl. Successivamente l’opera fu sicuramente rimaneggiata: la stesura finale contiene infatti stilemi dell’ultima maniera beethoveniana, rinvenibili, fra l’altro, nel fugato che precede l’allegretto della Coda.

Pur non potendosi annoverare fra i maggiori capolavori del genio di Bonn, queste Variazioni esprimono una umoristica bonomia che le rende degne di qualcosa di più che una distratta attenzione; testimoniano altresì un momento di riposo fra le monumentali concezioni dei suoi ultimi anni: una pausa in cui Beethoven si volge all’indietro a riguardare, probabilmente con sottile nostalgia, l’epoca ormai tramontata della sua ingenua baldanza giovanile.

L’esecuzione è quella degli incommensurabili Cortot, Casals, Thibaud.

Beethoven, l’Eroica e Mozart

Beethoven – Sinfonia n. 3 op. 55

“Eroica”


Se ai tempi di Beethoven fosse esistito il reato di plagio, forse oggi non avremmo l’Eroica. Uno dei temi più famosi di tutto il panorama musicale, il tema che apre l’Allegro con brio della terza Sinfonia, riecheggia in modo evidente l’Ouverture di un’operina di Mozart, il singspiel “Bastien und Bastienne”, composto pare nel 1768, 34 anni prima dell’Eroica.

Si ritiene improbabile che Beethoven abbia conosciuto questo acerbo lavoro del genio salisburghese; ma improbabile non vuol dire impossibile.

A parte la somiglianza della prima frase, però, lo sviluppo è molto diverso: l’esile introduzione strumentale dell’umoristico singspiel del dodicenne Mozart riceve un trattamento ben più ampio e drammatico nell’orchestrazione beethoveniana.

Ma, immaginando che gli eredi di Mozart potessero far causa a Beethoven per plagio, si può escludere che avrebbero trovato un giudice disposto a riconoscere l’innegabile, seppur superficiale, somiglianza? Per fortuna a quei tempi il destino delle opere dell’ingegno non era affidato al burocratico giudizio di un tribunale: la fantasia dei compositori era abbastanza ricca da rielaborare elementi altrui in modo così autonomo da ricavarne capolavori in cui l’elemento spurio fosse solo lo spunto di partenza. E la società dell’epoca era abbastanza saggia da capirlo; o forse non era ancora abbastanza guasta da scambiare per musica il rumore della centrifuga di una lavatrice.

https://www.youtube.com/watch?v=LlqxKK_Mdck

Beethoven – Concerto per pianoforte n.4

Beethoven

Concerto per pianoforte n. 4 op. 58

Andante con moto

https://www.youtube.com/watch?v=lfEU5Ds01gw

[Italiano]

Non riesco a ricordare, nella produzione di Beethoven, alcunché di simile alla conclusione dell’Andante con moto del quarto Concerto per piano.

Questo concerto è il mio prediletto: lo antepongo al magniloquente “Imperatore”, del quale non ha le vaste dimensioni e il respiro titanico che siamo soliti associare alla musica sinfonica (con o senza strumento solista) di Beethoven. Ha invece un’armonia classica, oserei dire greca, ma che non trasmette il senso di luminosa impassibilità dell’arte greca: è un lago profondo e tranquillo, turbato dalle increspature che percorrono la placida ma poderosa massa d’acqua. E’ una perfetta sintesi di potenza e intimità, scintillio e penombra.

Nel movimento centrale, l’Andante con moto, il pianoforte e l’orchestra non si limitano – come è loro uso – a passarsi i temi per svilupparli e variarli; sono veri e propri personaggi contrapposti: due persone che siedono l’una di fronte all’altra e si parlano. L’orchestra si esprime con maestosità ieratica; il piano risponde in tutt’altro tono: parla con una concentrazione sognante, un lirismo assorto ed estraniato, quasi che la sua voce provenga dai recessi del lago. Sembra di risentire gli accenti dell’ ”Adagio sostenuto” dell’op. 27 n.2, stavolta non in una meditazione solitaria ma in bocca ad una “dramatis persona”, che inscena insieme al suo incalzante antagonista un misterioso e attonito duetto.

Ma la cosa che continua a sopraffarmi di questo Andante con moto, fin dalla prima volta che l’ho ascoltato, è la chiusa: quelle tre note della destra (sol – fa # – mi) sospese nel vuoto, immerse in una foschia irreale, in una dissolvenza che è come un deliquio.

Un’impressione simile me l’ha data forse solo l’accordo finale della Maurerische Trauermusik K 477 di Mozart. Eppure si trattava di altro: quella era la sublimazione consolatoria di una religiosità individuale, che ambiva a un rapporto diretto con l’Assoluto. Era l’incarnazione musicale di una serenità mistica.

Qui c’è tutta la solitudine beethoveniana, il proiettarsi dell’uomo al di là della sua miseria, in una tensione contemplativa che lo perde, lo disfa, tuffandolo nell’insondabile gora dell’anima.

L’ineffabilità di questa chiusa mi rende insofferente all’inizio del Rondò finale, peraltro bellissimo, modello insuperabile di un’eleganza scattante che Mendelssohn ha probabilmente invidiato. Preso a sé è una grande pagina. Ma è un peccato che lo si debba ascoltare proprio in quel momento, che sia collocato lì in ossequio alla struttura tripartita della forma-sonata. Un dovere di cui Beethoven si libererà solo più tardi, nell’op. 111, ma che in un Concerto per piano del suo secondo periodo è ancora ineludibile.

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[English]

I cannot remember, in Beethoven’s production, anything like the conclusion of the “Andante con moto” of the fourth Piano Concerto.

This Concerto is my favourite: I put it before the magniloquent “Emperor”, of which it does not have the vast dimensions and titanic breath that we usually associate with Beethoven’s symphonic music (with or without solo instrument). It has a classical, I dare say Greek harmony, but that does not convey the sense of luminous impassiveness of Greek art: it is a deep and peaceful lake, troubled by the ripples that run through the placid but powerful mass of water. It is a perfect synthesis of power and intimacy, sparkle and dimness.

In the central movement, the “Andante con moto”, the piano and the orchestra do not just reciprocally hand the themes to be developed and varied; they are contrasting characters: two people who sit opposite each other and talk to each other. The orchestra expresses itself with hieratic majesty; the piano responds in a quite different tone: it speaks with a dreamy concentration, an absorbed and estranged lyricism, as if its voice came from the recesses of the lake. One can recall the accents of the “Adagio sostenuto” of the op. 27 no. 2, this time not in a solitary meditation but in the mouth of a “dramatis persona”, who stages together with his pressing antagonist a mysterious and astonished duet.

But the thing that continues to overwhelm me of this “Andante con moto”, from the first time I heard it, is the closure: those three notes of the right hand (G – F sharp – C) suspended in a vacuum, immersed in an unreal haze, in a fade that is like a deliquium.

A similar impression was given to me perhaps only by the final chord of Mozart’s “Maurerische Trauermusik” K 477. Yet it was something else: that was the consoling sublimation of an individual religiosity, which aspired to a direct relationship with the Absolute. It was the musical embodiment of a mystical serenity.

Here there is all the Beethovenian solitude, the projection of man beyond his misery, in a contemplative tension that loses him, undoes him, pits him into the unfathomable marsh of the soul.

The ineffability of this ending makes me impatient at the beginning of the final Rondò, however beautiful, unsurpassed model of a snappy elegance that Mendelssohn has probably envied. Standing alone it is a great page. But it is a pity that it should be heard at that very moment, that it is placed there in deference to the tripartite structure of the Sonata form. A duty of which Beethoven will set himself free only later, in the op. 111, but that in a Piano Concerto of his second period is still inescapable.

Beethoven – Andante Favori

Beethoven – Andante Favori

Claudio Arrau, pianoforte

 

Inizialmente concepito come tempo centrale della sonata Waldstein, questo Andante Favori (il titolo pare sia dello stesso Beethoven) fu in seguito stralciato, ed è rimasto come brano a sé (col numero di catalogo WoO 57). La scelta sembra stilisticamente giusta: l’Andante non ha molta attinenza con lo spirito di quella sonata.

Il brano ha quel carattere di tranquilla elegia, appena increspata da un episodio centrale più mosso, che si ritrova in alcuni movimenti delle sonate del primo periodo. Mi è molto caro e non mi stanco di riascoltarlo. La versione che preferisco è quella di Claudio Arrau. Sarà che sono avvezzo alla sua attitudine contemplativa, alla lente di ingrandimento con cui scruta amorosamente ogni dettaglio, fino a farlo sprofondare in noi come se lo imprimesse su una tavoletta di cera, ma non riesco a sottrarmi al fascino del lento dipanarsi della sua tela.

Segnalo anche, per un ascolto comparato, le interpretazioni di Kempff, Richter, Brendel (magnifica), Moiseiwitsch, Sofronitsky, Schnabel, Foldes, Pletnev.

 

https://www.youtube.com/watch?v=a7F-3lkTlyc