Il torrente

Gli echi della rivolta mi giunsero mentre esaminavo su una piastrina una sostanza che avevo appena scoperto, e che era la sintesi di tutti gli elementi dell’universo. Estrassi dall’interno di una colonna un barattolo con l’etichetta “Mistico” per nascondervi la sostanza. Feci appena in tempo a richiudere prima che l’altra stanza del laboratorio si riempisse di gente. Credevo che venissero ad imprigionarmi e a spaccare tutto ma uscirono difilato dalla porta di fronte. Forse per paura del torrente che li inseguiva correndo lungo il muro, e che appena usciti li travolse.

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1970

Il resoconto

Migrazioni verso la preistoria e glaciazioni indiane sono l’oggetto di un resoconto che dignitari di un astro abbastanza vicino, giovandosi di telescopi e di bacchette inservibili, presentarono ad altri dignitari, poi esautorati proprio a causa di quegli studi. Ma di ciò parleremo un’altra volta.

Dopo alcuni millenni, la coscienza di essere stati osservati si risvegliò nei popoli ormai tranquillizzati, e un cittadino influente propose una spedizione punitiva. I grandi dignitari dell’altro pianeta, divenuti ancor più grandi, si destarono di soprassalto dal loro momentaneo assopimento. Nessuno di loro aveva sognato nulla di profetico o di verosimile, perciò non sapevano quale pericolo incombesse su di loro. Si trascinarono in cucina per riscaldare il caffè, ignari di tutto.

Sulla Terra i popoli non si sarebbero mai decisi a quella spedizione.

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1970

La caccia

All’orizzonte il dio si scoprì la fronte e disse: “Mali”, che in nessuna lingua vuol dire: certezza. Aveva cacciato i bufali della notte e pescato balene d’uranio, ma non era contento: suo figlio era prigioniero di un popolo su cui egli non aveva potere.

Una fanciulla, che lo spiava da milioni di giorni, finalmente gli si avvicinò e disse: “So come riaverlo”. Quando gli ebbe spiegato tutto ed ebbero preso accordi segreti, il dio tornò alla sua dimora nell’altro emisfero e la fanciulla sparì sotto il mare.

Il figlio non rivide mai suo padre e la fanciulla annegò.

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1970

Giocattoli di pioggia

Giocattoli di pioggia

Piloni svettanti

Un monte stupendo come un vestito

alto come una croce e chiuso come una parola chiusa

scaturito da una tavola originaria e posato su sillabe fangose

Paludi sannitiche che qualcuno abbandonò fra rostri tagliati, accanto ad alti quadrupedi gialli

Tutte le madri piansero al di qua della palude

molti padri pregarono, molti astucci furono chiusi

e i templi furono caricati sui camion, insieme a spazzole e selvaggina

e furono portati al mercato per essere acquistati da un fenicio

che li riconobbe subito, e pianse, e dopo l’acquisto andò a telefonare a un fratello caldeo

e volle a tutti i costi uscire dalla città con i suoi tesori.

Grande fu la suggestione che questa e altre leggende esercitarono sul primo dei cadetti

il quale, per ricucirne le parti e impararle a memoria, non dormì né quella né le seguenti dodici notti.

Mentre rileggeva l’ultima pagina, un bufalo lo seppellì sotto il crollo del suo palazzo con una sola testata

e si dice che il reame sia stato espugnato prima di mezzodì.

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1970

Battaglia

Un gruppo assopito di catrami e di tende in ascolto monta a cavallo nelle prime ore del primo mese. Sorpassa burroni di rintocchi, entra nelle foreste e le divora. Uno spirito punitivo abbatte la sua mano su quei granchi spaventati e li distrugge. Le ceneri rabbiose grandinano come brace verso il cielo e ricadono come proiettili saltellanti e lance bianche nei buchi di quell’immane massa disturbata. Il suo sonno risponde con tutti i caratteri della perennità all’insulto celeste e si sposta verso occidente. Nello stesso paese lave frontali e laterali assaltano i portoni dei palazzi disabitati; ne escono zingare in fiamme col bambino in bocca e le carte in mano. Un orrore penetrante punge le velleità dei cani da guardia acquattati come draghi e ne sollecita la vendetta. Ecco che si precipitano con rotaie urlanti, e c’è una zuffa, grandiosa e sporca, di veterinari, e ancora un pugno si abbatte sui lastroni del pianeta. Già tutti sono morti: resta un pigolio in circolo che va in cerca dell’ultimo cibo e del ristoro dopo la battaglia. Le armate assistite dalla sfortuna si ritirano verso i padri, trascinando corpi d’acqua e febbre acida e fetore. Le inseguono le scuri del sultano aumentate da sinistra da reggimenti cinesi e latte vendicativo; l’avanguardia incalza con imperi mongolici e unghie confitte nell’anima; più terribile di tutti è l’aereo di propaganda tutto ali che li annienterà, vincitori e vinti. Dopo la vittoria rimangono radi pali commemorativi su tutta la brughiera, altri invece piantati nel mare limitrofo e in certi falsi delfini di passaggio. Improvvisamente il paesaggio volta pagina e siamo in una sartoria di vedove.

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1970

Datemi acqua, pioggia

Datemi acqua, pioggia

sollevatemi sopra la tempesta di raggi fortuiti

spezzate arcobaleni sulle mie ginocchia

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Sono pronto alla dura trasvolata

al cozzo glaciale di soli e guerrieri apuani

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Non c’è che da stendere un sudario sacrilego

tornando in tempo per assistere all’agonia delle soffitte

dove un esecutore scrupoloso estrae boscaglie dai bauli

e un ansioso infermiere si fa largo tra i suicidi

perendo anch’egli, alla fine, in onore di se stesso

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Sulla sua bocca cade un serpente di alabastro

che non è lapide ma cespo di gemiti sul mare

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1970

La trasformazione della polvere, in un anfiteatro lontano

La trasformazione della polvere, in un anfiteatro lontano:

si fanno avanti uncini e morbidi mazzi di chiavi

e devo chiedere perdono al sale, verde giudice di forza.

Devo supporre una terribile salute, spegnere vaste retrocessioni?

Non tratterrò la coda delle cose che si ritirano:

l’angelo ovale le lacera e dopo un momento piange

(le sue vesti pittoriche, gli occhi carichi di lentezza,

le lunghe strisce d’ebano sulle mani)

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1970