Si affatica sull’erta il violoncello

Si affatica sull’erta il violoncello

che non ambisce alla gloria ma a spezzare

la pietra quotidiana

gemendo di preghiera,

risalendo la china della luce,

straniero tra i nidi del gorgheggio,

oscuro agli amanti

di vaghe barcarole

rapiti da un frullo di sandali

nelle indolenti astanterie del mare.

.

Noi che chiniamo la testa al rigore

del suo aratro di stento, che apre i nostri

territori di cuoio,

sostiamo attenti all’attimo

trepido in cui l’archetto

inaspettato busserà al cuore,

alla sua voluttà di eruttare.

.

.

.

20/2/2024

Tra fronte e fronte, uno spessore

Tra fronte e fronte, uno spessore crescente

di carne inturgidita,

amori dolorosamente vivi,

distanze che portano sfinimento.

.

Prigionieri scambiati di notte su treni costretti a mentire,

orologi che tornano alle radici

con vite nel frattempo annichilite,

quadranti retrogradi in cui si iscrive il volo.

.

Lei, isolata nei suoi compartimenti,

non altera le sue liturgie,

il suo teatro kabuki scorre nelle stanze,

nastro di celluloide che ripercorre se stesso.

.

Le nostre cabine affondano in mari diversi.

.

.

.

29/5/2023

Decoriamo la città

Decoriamo la città con festoni di bragia,

col fandango di donne dai cognomi chilometrici,

vestite di vapore a balze bianche,

con tacchi che schiacciano ali;

agghindiamo i quartieri con brandelli di calze.

.

Al re deve mostrarsi il volto truce,

il laido ghigno del suddito imbelle

impiastricciato di insulti induriti

che scende al mare per guaste abluzioni,

come un delfino di paglia e arsenico.

.

C’è un raduno di sindacati sul lungomare;

il filobus striscia sulla rotabile.

.

Non si conosce il tragitto del re

forse non verrà

la sua maschera cavernosa ci guarda dall’aria sopra le montagne.

.

.

.

16/5/2023

Occupati da un mare che tritura nacchere e spezie

Occupati da un mare che tritura nacchere e spezie

sbattuti dall’ondata candeggiante

in una grotta lontana

inchiodati da un nero piede tribale

i nostri occhi viaggiano nella corrente che defluisce dal mondo.

.

Siedo davanti al macigno

che percuoto con l’osso scintillante.

.

Cammino sulla crosta terrestre come un equilibrista sulla palla; i continenti appaiono precipitosamente all’orizzonte; marciando si susseguono sotto i miei piedi.

.

Maneggio un gioco di pazienza: far scendere nove palline in nove circuiti. Il mio vicino di tavolo si accorge per primo che ho in mano il sistema solare.

.

Forse tutto ciò è sogno? commento alla finestra.

Il bicchiere che brandisco contro il sole risponde con un riflesso sanguinolento che si attorciglia al mio braccio.

.

.

.

21/1/1983

Gli inganni che dormono nell’aspo

Gli inganni che dormono nell’aspo

toccato da una rosea mano immemore

e avvicinato al labbro;

i pacifici inganni, che dormono sui rami

nelle pianure dove la luce torreggia, cucite nella tappezzeria dell’Ovest,

ondulano sazi di calore,

sciolti dall’amarezza.

.

Se dai retta agli ammassi di sole sulle pietre

all’ingresso delle latomie,

al verde propagarsi dell’ansia negli steli,

al commosso assentire

dei bambù, nel viso assente

dello stagno infittito di pepe,

anche tu, anche tu vorrai venire

a bagnarti alla riva ghiaiosa

dove lo stento esala,

lo stordimento naviga acque fresche

ed affiorano agli occhi le radici.

.

Annuirai alla prestanza del mare

in flagranza di furia e di tresca,

sibilla degli antipodi.

Mentre ruzzano groppe grigio-cerule

e si arrotolano pani d’avorio

teleostei abbandonati nell’ombra marina

trasudano un lucore d’aloe.

.

.

.

5/11/1982

Dove mi porta la perfida barca

Dove mi porta la perfida barca,

cieco pesce di legno,

dove puntano, ai remi, gli accoliti,

smaniosi quanto basta per esultare in mare?

.

Sguscia e schiaffeggia, riceve squame,

cede il gracchio del legno,

urtando bieche tortore di mare,

appostate fra le onde,

mirando a un fondo d’alba.

.

Oberata di scogli

avanza nel circo dell’oceano

molestandone i leoni, trascinata

dalle criniere, e spicca frutti lucidi,

balza di schiuma in schiuma,

di pugno in pugno, dietro ai suoi caprioli:

quando un rumoreggiare del tempo diurno

la rintraccia, equipaggia

di velature d’etere

ed ella scende nel non sussultante

che doma e riverisce il suo viaggio.

.

.

.

16/7/1982

Ridi, e isole orientali si consumano

Ridi, e isole orientali si consumano.

Muovi le labbra nell’onda e nel respiro del legno.

Tu e la tua bellezza di oleandro inerte,

i tuoi fili delusi, il tuo penetrante torpore

che mi intima sponde e chiaroveggenza, e giornate di sguardi.

Fai incetta di silenzi sotto le arcate, Arianna d’alba,

ti incarichi di invitare le mie rondini, le mie scolte marine,

esorti l’agonia a scendere dalla sua stele.

Piangi, e organizzi il mare.

.

La notte visita come un giaguaro la tua pelle ammansita e il tuo ventre d’anfora.

Cerchiamo di uscire dall’inedia, di rasentare suoni

che ci indichino la via più solitaria

alla grotta più incolta.

Una mangusta ne esce, un fagotto di foglie che il vento rumina

si apre ai nostri piedi.

La cava rigetta il suo bronzo, il suo nichel

cacciando una lingua di monete e gemme macinate.

Interrompiamo la favola che ci stavamo narrando

per preparare giacigli e sabbiature.

Riesumiamo la nostra felicità di ospiti bambini.

Domani torneremo a casa.

Appassiamo nel sonno,

tiepidamente.

.

.

.

29/5/1982

Ti ho predetta

Ti ho predetta

aperta, disancorata e spaziale.

Sei venuta nell’aurora

a capo di armenti rischiarati

spezzando verghe di fuliggine, con pastorale turgore.

.

Mi fai ricordare di tutte le isole

che non ho scoperto, o a cui ho impedito di nascere.

Fomenti la mia indole senza lido, che un tempo

stipulava atti di pirateria

o risolveva dubbi di circumnavigazione.

.

Nulla di ciò che chiedi è sacro:

pennacchi eretici e un sincopato tubare

annunciano agli esuli di mare

la nave che ti racchiude.

.

Sul tuo petto di schiuma lavorata

erra la bocca in dolce

profanazione.

.

.

.

25/1/1982