Da un bosco di dita arcuate e fragili pedali
si snoda la via erbosa del mattino
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L’aurora si dilata
laringe d’organo
dissolta nel cavo del respiro
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28/1/2024
Da un bosco di dita arcuate e fragili pedali
si snoda la via erbosa del mattino
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L’aurora si dilata
laringe d’organo
dissolta nel cavo del respiro
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28/1/2024
Con chi attendo, nel vano, il fluire
dell’orzo nella notte, nelle orbite,
l’alta spettroscopia, vaticinata
nel ciclo della lira?
(supremazia del fango, mangiato a testa bassa)
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Lacerti urgenti, schidionati al muro,
giacciono in quadri arrossati.
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Il vellicato ventre dell’illecito
spazza parchi di gamme aurorali
dove alberi spandono canizie,
pile rovinano di cerchi friabili,
freschi tappeti d’ossa imbiancano la suola.
La luce si strofina sui vestiti e sui gomiti,
il parco è pieno di giacche sventurate:
gli uccelli beccano la sventura e si conoscono;
scansano il riso che i soavi, i supplici,
vestiti d’anemia e di circondari,
hanno espunto dall’acqua. Intemperanti,
fini ed alteri, gli uccelli senza frutto
accordano ineffabili udienze
per guarire i tuguri,
gli orti, le selve pavide
d’orrido accesso e squisito cicaleccio.
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Pane ed asprezza, torridi auguri d’astio,
infilano pene nel bastone da viaggio:
l’accidioso raja dei ninfei, mescendo rosolio,
decurta il senno dei suoi convitati,
nei parchi uccide le lotte e i luccichii.
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12/7/1982
Ti ho predetta
aperta, disancorata e spaziale.
Sei venuta nell’aurora
a capo di armenti rischiarati
spezzando verghe di fuliggine, con pastorale turgore.
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Mi fai ricordare di tutte le isole
che non ho scoperto, o a cui ho impedito di nascere.
Fomenti la mia indole senza lido, che un tempo
stipulava atti di pirateria
o risolveva dubbi di circumnavigazione.
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Nulla di ciò che chiedi è sacro:
pennacchi eretici e un sincopato tubare
annunciano agli esuli di mare
la nave che ti racchiude.
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Sul tuo petto di schiuma lavorata
erra la bocca in dolce
profanazione.
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25/1/1982