Con chi attendo, nel vano, il fluire

Con chi attendo, nel vano, il fluire

dell’orzo nella notte, nelle orbite,

l’alta spettroscopia, vaticinata

nel ciclo della lira?

(supremazia del fango, mangiato a testa bassa)

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Lacerti urgenti, schidionati al muro,

giacciono in quadri arrossati.

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Il vellicato ventre dell’illecito

spazza parchi di gamme aurorali

dove alberi spandono canizie,

pile rovinano di cerchi friabili,

freschi tappeti d’ossa imbiancano la suola.

La luce si strofina sui vestiti e sui gomiti,

il parco è pieno di giacche sventurate:

gli uccelli beccano la sventura e si conoscono;

scansano il riso che i soavi, i supplici,

vestiti d’anemia e di circondari,

hanno espunto dall’acqua. Intemperanti,

fini ed alteri, gli uccelli senza frutto

accordano ineffabili udienze

per guarire i tuguri,

gli orti, le selve pavide

d’orrido accesso e squisito cicaleccio.

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Pane ed asprezza, torridi auguri d’astio,

infilano pene nel bastone da viaggio:

l’accidioso raja dei ninfei, mescendo rosolio,

decurta il senno dei suoi convitati, 

nei parchi uccide le lotte e i luccichii.

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12/7/1982

Ti ho predetta

Ti ho predetta

aperta, disancorata e spaziale.

Sei venuta nell’aurora

a capo di armenti rischiarati

spezzando verghe di fuliggine, con pastorale turgore.

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Mi fai ricordare di tutte le isole

che non ho scoperto, o a cui ho impedito di nascere.

Fomenti la mia indole senza lido, che un tempo

stipulava atti di pirateria

o risolveva dubbi di circumnavigazione.

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Nulla di ciò che chiedi è sacro:

pennacchi eretici e un sincopato tubare

annunciano agli esuli di mare

la nave che ti racchiude.

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Sul tuo petto di schiuma lavorata

erra la bocca in dolce

profanazione.

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25/1/1982