Ridi, e isole orientali si consumano.
Muovi le labbra nell’onda e nel respiro del legno.
Tu e la tua bellezza di oleandro inerte,
i tuoi fili delusi, il tuo penetrante torpore
che mi intima sponde e chiaroveggenza, e giornate di sguardi.
Fai incetta di silenzi sotto le arcate, Arianna d’alba,
ti incarichi di invitare le mie rondini, le mie scolte marine,
esorti l’agonia a scendere dalla sua stele.
Piangi, e organizzi il mare.
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La notte visita come un giaguaro la tua pelle ammansita e il tuo ventre d’anfora.
Cerchiamo di uscire dall’inedia, di rasentare suoni
che ci indichino la via più solitaria
alla grotta più incolta.
Una mangusta ne esce, un fagotto di foglie che il vento rumina
si apre ai nostri piedi.
La cava rigetta il suo bronzo, il suo nichel
cacciando una lingua di monete e gemme macinate.
Interrompiamo la favola che ci stavamo narrando
per preparare giacigli e sabbiature.
Riesumiamo la nostra felicità di ospiti bambini.
Domani torneremo a casa.
Appassiamo nel sonno,
tiepidamente.
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29/5/1982