Ridi, e isole orientali si consumano

Ridi, e isole orientali si consumano.

Muovi le labbra nell’onda e nel respiro del legno.

Tu e la tua bellezza di oleandro inerte,

i tuoi fili delusi, il tuo penetrante torpore

che mi intima sponde e chiaroveggenza, e giornate di sguardi.

Fai incetta di silenzi sotto le arcate, Arianna d’alba,

ti incarichi di invitare le mie rondini, le mie scolte marine,

esorti l’agonia a scendere dalla sua stele.

Piangi, e organizzi il mare.

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La notte visita come un giaguaro la tua pelle ammansita e il tuo ventre d’anfora.

Cerchiamo di uscire dall’inedia, di rasentare suoni

che ci indichino la via più solitaria

alla grotta più incolta.

Una mangusta ne esce, un fagotto di foglie che il vento rumina

si apre ai nostri piedi.

La cava rigetta il suo bronzo, il suo nichel

cacciando una lingua di monete e gemme macinate.

Interrompiamo la favola che ci stavamo narrando

per preparare giacigli e sabbiature.

Riesumiamo la nostra felicità di ospiti bambini.

Domani torneremo a casa.

Appassiamo nel sonno,

tiepidamente.

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29/5/1982

Ti ho predetta

Ti ho predetta

aperta, disancorata e spaziale.

Sei venuta nell’aurora

a capo di armenti rischiarati

spezzando verghe di fuliggine, con pastorale turgore.

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Mi fai ricordare di tutte le isole

che non ho scoperto, o a cui ho impedito di nascere.

Fomenti la mia indole senza lido, che un tempo

stipulava atti di pirateria

o risolveva dubbi di circumnavigazione.

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Nulla di ciò che chiedi è sacro:

pennacchi eretici e un sincopato tubare

annunciano agli esuli di mare

la nave che ti racchiude.

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Sul tuo petto di schiuma lavorata

erra la bocca in dolce

profanazione.

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25/1/1982

Stella d’angolo

Stella d’angolo, a te si volge

il mio inverno di pensieri,

la mia solitudine di giglio afoso.

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Lattuga onoraria del mio orto,

infermiera cristallina con baci

incontrata lungo un viale di vetro,

ninfa di sinuoso acciaio,

accanto alla tua fortezza d’aceto

martella la mia inquieta cecità con palpiti.

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Pepe rosa, balaustra di sale vacillante, ape riunita

nomi mischiati che lungamente rotolano verso il tuo corpo.

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24/1/1982

Anche se non ti rifletterai mai in un loto

Anche se non ti rifletterai mai in un loto

né bacerò la luna che ti inanella

muoio per le tue ginocchia.

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Anche se siedi con lo sguardo sul tavolo

e te ne stacchi solo per sparire nei corridoi

muoio dietro le tue ginocchia.

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Anche oggi, guardando fuori

(la stessa armatura statica

del cielo che inchioda la terra)

e dandoti le spalle

m’imbevo delle tue ginocchia.

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La mia parola si flette senza proteste

e mi domanda di te.

Non vuole più emaciarsi

chiaro è il nuovo costrutto in cui ripara.

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Prima dell’imbrunire faccio tua questa

soffice musica di graminacee.

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12/10/1981

Sei il miele partorito dalla luna

Sei il miele partorito dalla luna

come una matassa di venti musicali

un orzo sequestrato e scosso

quando alteri le leggende della tua casa

e intingi il piede nel sopore piovuto dai tigli

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Si urtano nella mia bocca le pietre pulite del tuo nome

fiumi rotti e scapigliati mi venano 

se con lo sguardo irrompo in te

recando limo e conigli di antracite

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La nube non s’indora e non nevica

con brandelli di bosco e salme lievi

se non l’asciughi con le tue ferite semplici

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Non è mai altro che mancata meta

spaurito roveto e fiamma segregata

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Mio pigolante umore

che una scarna speranza trapassa

giungerà la sua veste d’acqua serena

un lembo di parola

pellegrinaggio nelle stanze schiuse

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27/10/1980

Come un panno senza bocca

Come un panno senza bocca

come una moneta annegata

come un dente, una sepoltura,

triste come la vergogna

come un sole appassito o un’ortica stanca,

una pietra, un cervello sporco.

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Triste, triste come un buco

e solo come un vento sradicato.

Lei respira lontano, parla in un’altra città

ha un volto di sterminio e un seno con macchie di colomba

e l’adoro con ranuncoli, gote,

serre selvagge, pallide

immensità.

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L’amore mio vaga cercando festini

perdendo unghie stordite

e non capisce se ama o è amato, o muore tra verghe

che stormiscono, spiano come un bosco velenoso

che non sopporta il languore.

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M’inginocchio nel vuoto, supponendo e gelando,

sciupando sangue in un seme folgorato.

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27.12.1979

Sento il bisogno di dirti

Sento il bisogno di dirti qualcosa di terribilmente stellato, di rocamente cospicuo, di affabilmente umido.

Qualcosa che istituisca il giunco e il diadema, qualcosa come un suono di lucertole, un fumo lavato nella sabbia, un diaframma di vigore.

E devi udirmi con simmetria paziente, con ospiti, con acqua cicatrizzata, mentre nelle tue orecchie si rovesciano le tenebre, e uno zampillo secco aspetta nell’aria, e una stanza si corruga.

Ti dirò ciò che in mille mutazioni della tua carne ho appreso, ciò che un amore veloce ha sottomesso, ciò che in te scende devastante come feroce albero temporaneo, quanto di indicibile, di intrinsecamente labiale ti percorre e ti altera, l’incendio che instaura la tua bocca e destituisce la tua schiena.

Nel tuo mattino inferiore

si arrestano leopardi

nel corsivo del tuo piumaggio

si perpetrano avori

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Lavoro su una sponda di saggezza e di combustione

per vederti lentamente

per assediare l’incenso che ti sospinge

nella lava centrale degli amori e degli osanna famelici.

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28.11.1979

La tua casa di soffio, la tua carne d’alito

La tua casa di soffio, la tua carne d’alito

gettano sorde trame sui miei mostri terrestri

e mi ribello in una punta in cui si acumina il dolce

esperanto dei naufraghi.

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Ti abbassi con astri, con linguaggi

a lambirmi nel mare insonne

pavimentato con torbide erbe

chiuso da occhi ventosi, da raffiche di Lestrigoni.

Eppure sarebbe stato un tenero trapasso

ricordare con te la tua mole di calda ombra, 

i tuoi denti, i tuoi gorghi

di pensanti ametiste.

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Non noto intorno a me che le tue gambe

(consumano il mio vinto spazio)

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28.8.1979

Tuffo le ciglia nei miei pensieri

Tuffo le ciglia nei miei pensieri

in cui nuoti come un asteroide di tenera polpa.

Che lungo giro siderale per venire a te

che catena di abbandoni punteggiata di fosfori crudeli.

Non faccio che nascondere le mani sotto una coltre evasiva,

bere alla tua fiaccola, succhiare l’incantesimo dei tuoi piedi.

Trasmigro in te inquietamente

moltiplico le ali intorno al tuo nome

accendo allodole di devozione in cieli che ti ripetono.

Dal mio volto cade la città a scaglie

e il buio, bestia che corre a rintanarsi.

Un vento triste e molle, l’amarti.

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9.7.1979

Sei ancora tu che mi aspetti

Sei ancora tu che mi aspetti, con paglia azzurra e salnitro spezzato: vicino al tuo cuore si arrampicano dolci paure, ed io rimonto con un loto sul braccio il fiume riflessivo delle tue iridi.

Ti ho sorpresa bagnante ad un guado di cera maestosa e di tabernacoli lampeggianti.

Ho scardinato il dente colossale di cui ti eri fatta un’armatura.

Le Atlantidi ansiose di essere scoperte dai tuoi navigli, le ho espugnate in un soffio, estinguendole con uno sguardo d’orso e un molare rabbioso.

Ciò che ti aspetta è la gravità: della cella, dell’inchiostro affiorante dal piancito, della raspa, la cui voce stregata ammonisce gli impietriti e i loro figli brulicanti nel mattone.

Riesco a evadere da te, a sperperare i tuoi fianchi: l’antagonismo eccitato dei nostri sforzi di languenti, il bramire dei corpi impegnati a devastarsi. Raccolgo la sabbia della tua clessidra infranta: ai primi tepori si liquefa e si aggiunge alla mia pelle. La mia pelle si decuplica, ti veste con metri e metri di epitelio e pori, come un grande mantice umettato.

Esci nelle strade, vestita di clarini.

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20.10.1978