Decretai due editti, quindi scesi nella piazza. Era una calda giornata floreale; gli altri monarchi passeggiavano sotto le nubi di maggio, a braccetto, biasimandosi i manti e ripudiando gli strascichi. Ai balconi, un afrore di luppolo vergine ingentiliva la sera.
Un cavaliere accorse al galoppo: recava al guinzaglio un cavaliere nano su un cavallino, con un dispaccio nella sella. Il cavaliere adulto crebbe rapidamente e sulla sua fronte spuntò un diadema da regina, mentre il cavallino disarcionava il suo distratto cavallerizzo, che si affrettava a consegnare il telegramma ai re-fantini.
Non osando consultarsi, i regnanti lessero in silenzio e meditarono ciascuno la sua risoluzione, che comunicarono alle polle e alle caverne.
Gli avventurieri, in gruppo ma ognuno con occhio solitario, si disputarono a carte il privilegio di intraprendere gesta cantate e degne di ribalde celebrazioni. Gli esantemi fiorivano sui loro gomiti.
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Perché le storie repubblicane non hanno fascino? Il medio sognante evo del mondo, fiume tenebroso di favole nordiche, si sbraccia nelle nostre allucinazioni di vegetali. Lampi radi, ardendo i viaggi tra le colline buie.
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19/9/1982