Sei il miele partorito dalla luna

Sei il miele partorito dalla luna

come una matassa di venti musicali

un orzo sequestrato e scosso

quando alteri le leggende della tua casa

e intingi il piede nel sopore piovuto dai tigli

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Si urtano nella mia bocca le pietre pulite del tuo nome

fiumi rotti e scapigliati mi venano 

se con lo sguardo irrompo in te

recando limo e conigli di antracite

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La nube non s’indora e non nevica

con brandelli di bosco e salme lievi

se non l’asciughi con le tue ferite semplici

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Non è mai altro che mancata meta

spaurito roveto e fiamma segregata

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Mio pigolante umore

che una scarna speranza trapassa

giungerà la sua veste d’acqua serena

un lembo di parola

pellegrinaggio nelle stanze schiuse

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27/10/1980

Cresco e resisto in un rampicante melodioso

Cresco e resisto in un rampicante melodioso

in uno spargimento di bacche, senza ascetismi.

Le rupi dissonanti non mi impietosiscono

griglie di sommesse lune custodiscono i miei clamori.

Distratto da rotaie aggressive, da cifre voluminose,

diserto l’ampiezza, denuncio lingue convulse

ed una situazione profetica entra in me.

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marzo 1980

Quando riceverete questo fascicolo

Quando riceverete questo fascicolo

il rombante sparviero sarà apparso nella piaga azzurra

sarà sceso dilaniante nei petti

un attimo prima di morire, di fuggire

voi che vi estasierete sotto il suo rostro, più sonante di una cornamusa

in un volo che non è ancora deciso, è stato 

ed è perennemente, andatevene,

questo è il vostro delirio, la vostra ostinazione di derisi

in faccia a un muro che sogghigna.

Infrangerete le fedi e andrete in macchina verso l’oceano

che tutto osserva, e si allarga sulle titubanti città

chine e distorte in una sfera d’oceano,

sottomesse a un silenzio d’acqua.

L’Opera è l’unica a sopravvivere ai flutti

la vostra Opera, ballerini e cantori inani,

assopiti, arrostiti dietro le soglie, infame

lezzo di vita, sdrucita

marea che accalca seppie e totani,

rinsecchiti superstiti della nuova era di polpa lacrimosa:

fugate gli altri, tornate al vostro secolo,

non dilaniate le deboli cerniere di un altro mondo di sperma e di Orchi.

Tutto si confonde e sussulta, anche voi non siete voi

ma una frangia verdognola che strappa i lucchetti dalle viti, dalle donne,

un alcolizzato confessore incastrato in una cassetta di pietra

coi piedi in fondo al mare, e qualche delucidazione

vagante sull’arenile, su un cirrostrato di folaghe immacolate,

un crollo, un finale d’opera, uno stacco prolisso, un nulla a basso potenziale perpetuo.

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20/1/1980

Come un panno senza bocca

Come un panno senza bocca

come una moneta annegata

come un dente, una sepoltura,

triste come la vergogna

come un sole appassito o un’ortica stanca,

una pietra, un cervello sporco.

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Triste, triste come un buco

e solo come un vento sradicato.

Lei respira lontano, parla in un’altra città

ha un volto di sterminio e un seno con macchie di colomba

e l’adoro con ranuncoli, gote,

serre selvagge, pallide

immensità.

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L’amore mio vaga cercando festini

perdendo unghie stordite

e non capisce se ama o è amato, o muore tra verghe

che stormiscono, spiano come un bosco velenoso

che non sopporta il languore.

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M’inginocchio nel vuoto, supponendo e gelando,

sciupando sangue in un seme folgorato.

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27.12.1979