Prilla con autorevole luce
empie dei suoi avvitamenti pani e fiale
e simulacri di zinco; impone pialle
e creste e anomalie; avvia erranti
strumentazioni, il cui rosa pervicace
si affianca alle testuggini
sboccia in ipocondria di capodoglio.
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È soggetto di spazi
percorritore di acque monotone
e algebre limacciose, fra rosse rimostranze
e contatti esitanti.
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Il bordo d’alta frescura
entro cui passeggia e trascina le sue carte,
i suoi piedi di carta, di semaforo,
le sue segnalazioni piovose, la nidiata di ulcere
sotto una torrenziale carne che cade
e una camicia che si dibatte senza lotta
corre sui crinali con ansia di treno
con velocità di preda divorata.
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Immagino che una sera, schiantandosi su una tovaglia di voci
apparsa di colpo sul vento, fra due fanciulli di vento,
alle spalle di una disperata brughiera che esiste da un’ora
disturbata da navi fioche e nere sirene
debba trattenersi più del solito,
controvoglia, e le sue gomene adirate
derubino la terra e spoglino il sale
sfruttando e asciugando, umiliando cantieri,
lasciando solo grondaie e debitori
e spigoli corrotti, e odore di midollo.
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Però una libbra, un velluto,
però un pezzo di cuore in un canale
passano come strappi nella terra
e trascinano reti di viventi
e riannodano i canti.
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20.11.1979