Tornerà la pioggia? Torneranno i crani fecondati, con cani smossi e aceto distribuito nelle lontananze?
Il calesse dell’uragano rotola sul monte, sul villaggio in ascolto.
Solo dieci bocche si aprono, solo uno stendardo si chiude
attorno al braccio, e i secoli rimangono deserti
quando il levriere delle stagioni lontane uggiola morente
e un assassino ruba le ultime carni, e una stella sparisce dal canneto.
Quando il mistero divorerà anche le ultime residenze arcaiche
e non resteranno che zolle aperte e foci rivangate
temi il pensiero, non venderlo:
vendilo al mercato delle vacche.
La vendita delle vacche ha dato una magra soddisfazione:
te lo dicevo, era meglio vendere la casa di nostra figlia
(nostra figlia legge disperatamente e si vende al primo Giuseppe).
Te lo dicevo: vendiamola; andiamo in collina
e preghiamo. Lì c’è una cena sparecchiata
lasciata sulle tavole da commensali assaliti dal dubbio
e forse i loro figli ci perdoneranno. Loro o noi
morremo a tre passi da qui. Noi o loro, la lotta o il fratricidio.
Ben meriti di piangere, ma non piangere,
non ti sedere sulle cataste di libri venduti in città:
il mercante è stato derubato, è già abbastanza come punizione,
non pretendere che il cielo slitti sui suoi cardini, o la melma salga fino all’Ovest.
Se salirai sul tetto vedrai i ladroni della vergogna coprirsi di piaghe.
Verrò lassù con te e mangeremo le spighe della vendetta
se non sei pentita. Il tuo cuore giusto, le tue labbra seminate di viole
non ti autorizzano alle dispersioni del rimpianto cocente. Devi durare
finché la carità si sviluppi fra i pensatori
che sono una frazione trascurabile del mondo, quando non si ubriacano
e rotolano sotto il divano, maledicendo il loro letto di morte.
Farai nascere le mani sotto le benedizioni
purché tu lo voglia e imbracci la verità con orgoglio
anche se ti spareranno nelle orecchie e cadrai, o ti butteranno cadavere
al di là di un muro crollato.
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1971