È l’arrivo, da siderali distanze

È l’arrivo, da siderali distanze, di palafrenieri al paletto striato

È l’adunata delle spighe, il raccolto dei vestiti madidi

l’efflorescenza di calce tra le labbra del neonato ciclico

Desideravo attorniarmi di venustà e d’aglio

concorrere alla rivalutazione del Toro

Dietro ogni altare c’è un rieletto

dietro ogni tenda un tendaggio pesante e un Cronos

Ai piedi verniciati del Falco i liberi attendono

non d’essere liberati ma di conoscere, impugnando la canna,

l’irruzione del Figlio nella piaga.

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1971

Tutti i poemi cominciano con una strada

Tutti i poemi cominciano con una strada

tutte le gallerie con un occhio

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Nella strada si accalca un uomo moltiplicato

arginato da due api

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La strada attraverso il sale mondiale, in cima alle pernici

grande arteria marina che rischia di illuminarsi

grande interessamento alle stoviglie, ai pennoni sparsi

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Tutti finiscono all’asciutto, in un cassetto cranico, come libri fossili.

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1971

Il mistero dei due re

Il mistero dei due re verrà risolto in senso favorevole al regno.

C’erano due fanciulli che giocavano nella strada dei re.

Due pietre erano i loro giochi e i loro volti: rimasero innocenti.

Il loro passato all’ombra dei re non turbava la castità; la loro voce non era l’urlo della folla.

I due re finirono al tramonto i loro giochi e impallidirono, ergendosi contro il mito lontano.

Il giorno dell’adulazione verrà presto; la diplomazia reggerà il palazzo e gli eserciti muoveranno al passo di flauto delle fortune cortigiane. Quel giorno la gradinata scenderà nella fossa dei re.

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1971

La memoria infruttuosa è un quadro fallito

La memoria infruttuosa è un quadro fallito.

Dieci anni fa fui un delfino. Intorno al mio cocchio si stabilivano le statue della sentenza. L’alga favoleggiata splendeva in cielo.

Dieci pellegrini di mare vennero a bussare al mio deposito reale. Altri mille chiesero di sedersi sui miei tappeti. Non volli scontentare nessuno e allestii dei giochi dopo la cerimonia.

Durante le gare di vendemmia ci fu un’eclisse; la fauna si tinse di colori abissali. I branchi prosperarono, la mano accompagnò la corsa delle stelle. Guidai personalmente il ritorno dalla frontiera.

Dopo molti anni, stanco di regnare, dissi a mia figlia di ricamarmi la veste del riposo: ella radunò tutte le nipoti e tramarono un ordito vasto come il regno. Fui deposto.

Presi con me Edipo e c’incamminammo per il sentiero cieco che conduce al sogno.

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1971

La mia città si è incendiata in alto, fra le aquile

La mia città si è incendiata in alto, fra le aquile.

Un angolo della mia città si è inabissato fra le sonde.

Un cane ha attirato l’incendio, correndo con una fune tra le fauci.

Ho protestato davanti agli anziani, ma hanno deposto le toghe e sono usciti.

C’è un pezzetto di carbone, in un altro paese, che ricorda la mia città.

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1971

Copriamoci di rispetto! Deludiamo la canaglia!

Copriamoci di rispetto! Deludiamo la canaglia!

L’inseguimento dietro gli altari e sulle rotaie

di selvaggina bendata, oche umide e liquore selvatico

(la piantagione marina, il colore a picco sulle agavi)

Ti fermerai o riderai bruscamente? Non so quanti passi

nella lanugine montuosa, incontro al cuore del fuoco

o all’approfondimento di pecore nebulose

molto dopo che la strada, lavata dalla pianura

e sfociata in una casa, fin dentro i bambini

ebbe rasentato un padiglione di Stato con le sue mosche

le sue prugne infilate in una zanna

il suo veliero, ala morbida e titubante

i suoi cartoni e zinchi precoci.

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1971

Tornerà la pioggia

Tornerà la pioggia? Torneranno i crani fecondati, con cani smossi e aceto distribuito nelle lontananze?

Il calesse dell’uragano rotola sul monte, sul villaggio in ascolto.

Solo dieci bocche si aprono, solo uno stendardo si chiude

attorno al braccio, e i secoli rimangono deserti

quando il levriere delle stagioni lontane uggiola morente

e un assassino ruba le ultime carni, e una stella sparisce dal canneto.

Quando il mistero divorerà anche le ultime residenze arcaiche

e non resteranno che zolle aperte e foci rivangate

temi il pensiero, non venderlo:

vendilo al mercato delle vacche.

La vendita delle vacche ha dato una magra soddisfazione:

te lo dicevo, era meglio vendere la casa di nostra figlia

(nostra figlia legge disperatamente e si vende al primo Giuseppe).

Te lo dicevo: vendiamola; andiamo in collina

e preghiamo. Lì c’è una cena sparecchiata 

lasciata sulle tavole da commensali assaliti dal dubbio

e forse i loro figli ci perdoneranno. Loro o noi

morremo a tre passi da qui. Noi o loro, la lotta o il fratricidio.

Ben meriti di piangere, ma non piangere,

non ti sedere sulle cataste di libri venduti in città:

il mercante è stato derubato, è già abbastanza come punizione,

non pretendere che il cielo slitti sui suoi cardini, o la melma salga fino all’Ovest.

Se salirai sul tetto vedrai i ladroni della vergogna coprirsi di piaghe.

Verrò lassù con te e mangeremo le spighe della vendetta

se non sei pentita. Il tuo cuore giusto, le tue labbra seminate di viole

non ti autorizzano alle dispersioni del rimpianto cocente. Devi durare

finché la carità si sviluppi fra i pensatori

che sono una frazione trascurabile del mondo, quando non si ubriacano

e rotolano sotto il divano, maledicendo il loro letto di morte.

Farai nascere le mani sotto le benedizioni

purché tu lo voglia e imbracci la verità con orgoglio

anche se ti spareranno nelle orecchie e cadrai, o ti butteranno cadavere

al di là di un muro crollato.

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1971