Johannes Brahms – Ballata e Intermezzi

Johannes Brahms

Ballata in sol minore op. 118 n. 3

Intermezzi op. 117 nn. 1 – 2

pf Edwin Fischer

Fischer porta alla luce in Brahms l’eloquenza naturale, la facondia antiretorica. Ho usato quest’ultimo aggettivo talora anche per Kempff. Ma, mentre definirei asciutto il tocco di Kempff, chiamerei adamantino quello di Fischer. Trasposto nello spazio, il suo pianismo è una superficie levigata, di grande trasparenza. Lungi dalla fredda bellezza del minerale, però, il tocco di Fischer possiede un calor bianco, una concentrazione di passione rattenuta che si espande e si scioglie nella coscienza conquistata dell’ascoltatore.
Fra i quattro brani eseguiti, quello che con maggior evidenza ha suscitato in me quest’impressione è l’Intermezzo op. 117 n. 1.

Bach – Ciaccona (dalla Partita n. 2 per violino solo)

J. S. Bach – Ciaccona (dalla Partita n. 2 per violino solo)

trascr. Busoni

pianoforte Luigi Di Ilio

A parte la ovvia differenza timbrica, c’è una sostanziale diversità di intenzione fra la scrittura per violino e la trascrizione di Busoni. L’apertura della pagina nell’originale appare come un’alta lamentazione intonata dal protagonista di una tragedia greca. Ci si potrebbe anche lasciar suggestionare dal fatto che la Ciaccona era una danza austera, e il coro della tragedia greca danzava e cantava; il fatto è che l’accento drammatico della Ciaccona è così pronunciato che il paragone viene spontaneo.

Lanciato il suo urlo iniziale, che maledice il destino, il personaggio-violino si addentra nel racconto febbrile, intriso di lucida follia, delle circostanze che l’hanno portato a quel punto. Siamo appesi alla narrazione, di cui apprendiamo gli sviluppi con interesse ansioso, che si rinnova a ogni svolta del racconto. Il violino precipita in vortici di disperazione, si apre a inopinati spiragli di speranza per poi rabbuiarsi di nuovo, in un travaglio di emozioni che non conosce tregua. Ripercorrere le fasi di questa alternanza, fino alla catarsi, che esplode come una bomba la cui nube cancella l’orizzonte, lasciando l’uditorio stupefatto e stordito, meriterebbe un’analisi approfondita delle innumerevoli metamorfosi del tema.

Di tutt’altro tenore la trascrizione busoniana. Il pianoforte funge da grandiosa cassa di risonanza di una voce che si è fatta corale e rispecchia le fastose sonorità orchestrali del Barocco, filtrate però dall’impervio virtuosismo pianistico dell’Ottocento, di matrice lisztiana.

Il pensiero musicale sottostante, che accomuna le due versioni, si ritrova nella struttura della Ciaccona, in cui le variazioni del tema rampollano l’una dall’altra come spinte da una necessità ineluttabile, con ferrea concatenazione logica, come pezzi di una costruzione che si ricompongono in un meccano celeste.

L’esecuzione di Luigi Di Ilio sfrutta tutta l’opulenza delle sonorità pianistiche, mantiene la tensione sempre sostenuta, innestando una frase nell’altra con una dinamicità che non conosce riposo. La brillantezza del tocco e la chiarezza dell’esposizione si colgono a dovere nella soddisfacente acustica della registrazione. Una superba interpretazione, tutta da godere.

Debussy – Feux d’Artifice

Debussy – Feux d’artifice

dal 2° libro dei Preludi

pf Luigi Di Ilio

Se li confronto con la Music for the Royal Fireworks di Haendel, non posso non pensare che questi non siano dei veri fuochi d’artificio, ma piuttosto dei fuochi fatui, delle fiammelle che si muovono disordinatamente nella notte (“leggere, uguali e lontane”), dotate di vita propria, scoppiettando qua e là davanti agli occhi.


La seconda parte, dall’indicazione “Incisif” in poi, dà piuttosto l’idea di un fenomeno cosmico, di un’esplosione di stelle, seguita dal buio e dal silenzio che accompagnano la nascita di una stella di neutroni, che di un banale finale pirotecnico.


Insomma, questo Preludio non ha nulla del fasto celebrativo dell’evento di cui porta il nome, ma è ancora una trasfigurazione impressionistica della realtà, una chiazza sonora in cui, come nelle macchie di Rorschach, la suggestione domina la ragione.

15/7/2018

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Gli scoppiettii dei fuochi d’artificio sono immersi in una nuvola sonora, le cui varie forme, dalla struttura simmetrica, si alternano in modo da avvolgere l’ascoltatore in una rutilante avventura che col gioco pirotecnico del titolo ha solo una vaga attinenza. È piuttosto uno di quei sogni in cui l’inconscio si libra col batticuore su abissi immaginari, fra stridi fulminei – combinazioni di note e accordi secchi – e lunghe tiritere di arpeggi vorticosi ed altre figurazioni insistenti.

Le sonorità di Di Ilio escono pulite e variegate, seguendo le dinamiche inebrianti e un po’ sconcertanti di questo caleidoscopio impressionista, che chiude con degna opulenza il Secondo Libro dei Preludi.

17/7/2020