Chopin – Notturno op. 55 n. 2 – Serena Valluzzi

Chopin – Notturno op. 55 n. 2

pf Serena Valluzzi

https://www.youtube.com/watch?v=skNrvk9rT0E&feature=youtu.be&fbclid=IwAR0Jqk5D4w1M_tZ3LO1fV-3Fb-qGJkuCeGr-11V2VpSFFJltCY8HOt-59OI

Serena Valluzzi è molto brava. Ma, se posso permettermi un appunto, mi pare che non abbia trovato un perfetto bilanciamento delle voci e inoltre che le tratti a volte troppo energicamente.

La mano sinistra deve tessere il suo arabesco per rivestirne la linea melodica dettata dalla destra, non mettersi in competizione con essa. L’equilibrio fra le voci, molto articolate, è la cosa più difficile. Alla destra ne compare spesso una seconda, che dovrebbe rimanere in secondo piano, mentre qui tende a sopraffare la prima.

La cogitabonda elegia del tema cammina in punta di piedi, facendosi via via più complicata, e attraversa slarghi con trilli e altre figurazioni che la portano, in una trepidante meditazione, ad aprirsi su quella delicatissima fioritura discendente delle ultime battute che, come talora accade nelle catarsi chopiniane, dilagano verso gli estremi della tastiera.

Esporla a una luce troppo forte la snatura, ne fa un canto a gola spiegata, una passione declamata, annullando la ritrosia del mistero.

Alla sinistra è affidato un arpeggio discreto, che non va appesantito, tanto più che riceve costante risonanza dal pedale.

In definitiva avrei preferito una dizione meno robusta, una luce più sfumata. Spero che l’esuberanza della giovane Valluzzi possa in futuro trovare un temperamento nella sua già spiccata sensibilità.

Brahms – Variazioni e Fuga su un tema di Haendel op. 24

Brahms – Variazioni e Fuga su un tema di Haendel, op. 24

pianoforte: 1) Wilhelm Kempff

pianoforte: 2) Andras Schiff

Kempff:

https://www.youtube.com/watch?v=j-ku5Zh8fzs&feature=share&fbclid=IwAR3_H0qXMveQ44swKmElFnR34oRIbkcj0clK_kT2_qVmzU3WdkAuBhTYPlg

Schiff:

https://www.youtube.com/watch?v=2TCiGHtZQgY

Kempff non è mai stato un virtuoso: nella Fuga ci sono parecchie imprecisioni. Ma l’insieme è entusiasmante.

Diversamente da come ci ha abituato, qui Kempff non esibisce la sua olimpica asciuttezza, la sua capacità di illuminare sobriamente ogni particolare, presentandocelo con la sua antiretorica compostezza che commuove più di un esibito sentimentalismo. Sceglie di muoversi ora con grazia leggera e impaziente, ora con fanciullesca irruenza, attraverso l’invenzione magmatica di queste Variazioni, in cui Brahms squassa il tema di Haendel, solidamente avvinto nelle sue volute barocche, facendolo pulsare come il cuore di un cavallo al galoppo.

C’è tutto il Brahms più turbolento, fiero, imbevuto della potenza degli elementi, tremendo nella sua incontenibile, violenta vitalità, in queste mirabolanti Variazioni.

Kempff non riesce a non farsi trascinare nel vortice: perfino la sua contemplativa umanità è travolta dal fiume in piena del verbo brahmsiano, vibrante fino allo spasimo anche nelle variazioni più sognanti, del resto sistematicamente alternate a quelle più selvagge, in un’alternanza da ubriaco, da artista completamente posseduto dalla vita della sua creatura.

Le Variazioni corrono verso l’abisso, grandiosamente trafelate: la Fuga finale è un estremo, razionalistico tentativo di salvarsi dallo schianto. Testimonia la volontà del musicista di trovare una sintesi fra l’umano e il divino attraverso il dominio della materia, ricercato in una forma antica spesso adoperata per celebrare la sapienza costruttiva del Creatore che domina il mondo con le sue leggi matematiche.

Ma i tempi sono cambiati: la Fuga, specialmente se posta a conclusione di un’avventura così esaltante, può solo coronare la ridda di emozioni in cui l’artista si è lasciato avviluppare come in un sogno indiavolato.

Al confronto Schiff (che prendo a pietra di paragone di un approccio opposto) è compassato, anestetizzante con la sua dignitosa solennità. Le sue Variazioni sono un edificio maestoso, di palladiana armonia di linee, che ci lascia sicuramente ammirati; ma personalmente – e ribadisco che la mia è una scelta sentimentale – rimpiango non poco l’impasto di carne e sangue dell’umanissimo Kempff, la cui disarmante concitazione si fa perdonare il pulviscolo di passi non rifiniti, allo stesso modo in cui si fa amare, nei “Prigioni” di Michelangelo, l’anima torta e dolorante, abbozzata nel marmo e ancora priva della sua compiuta perfezione.

Beethoven – Sonata op. 109 – Backhaus

Beethoven – Sonata op. 109

pianoforte Wilhelm Backhaus – Live in Firenze 1969

https://www.youtube.com/watch?v=1jROtkvOwDM

Mi sono chiesto quale fosse la caratteristica di quest’ultima esecuzione di Backhaus dell’op. 109. Che cosa la differenziasse da altre interpretazioni.

Mi pare di averla individuata nell’assenza di drammatizzazione.

Forse, detta così, suona curiosa. Tutte o quasi le Sonate di Beethoven racchiudono elementi drammatici. Non si può negare che anche l’op. 109 ne contenga diversi: la chiusa del “Prestissimo” ne è un chiaro esempio.

La maggior parte dei pianisti trova naturale accentuare tali momenti, differenziarli con contrasti anche bruschi dai passi con andamento diverso. La musica di Beethoven sembra invitare a mettere in rilievo le contrapposizioni dinamiche.

Rispetto alla media delle interpretazioni, quella di Backhaus sembra affrontare la questione in modo più distaccato, o forse più pacato. Backhaus è consapevole che fra i tumulti delle Sonate del secondo periodo e quelli delle ultime cinque, appartenenti al terzo, DEVE esserci una differenza. Il tono generale è cambiato, i contrasti non sono della stessa natura. Il grande pianista di Lipsia, ormai giunto nella stessa zona della vita dell’ultimo Beethoven, anzi molto oltre, lascia indietro i furori e cerca di conciliare i toni, nella chiave di una superiore composizione delle voci nell’unità dello spirito. Questo atteggiamento si riflette anche nell’ultimo tempo, l’ “Andante molto cantabile ed espressivo”, in cui la liricità intrisa di profondo sentimento (“mit innigster Empfindung”) del Tema e delle Variazioni viene in un certo qual modo attenuata e soggiogata dalla stessa volontà di pace che ha impedito al “Prestissimo” di andare in pezzi.

E Backhaus mantiene il punto con grande naturalezza, come se questa soluzione fosse la più ovvia. Non so se la sua lettura sia quella che prediligo, ma certo presuppone una vista acuta, che trascende le problematiche della singola Sonata e la inserisce con prospettiva unitaria nel blocco metafisico dell’ultima età beethoveniana.