Sento il bisogno di dirti

Sento il bisogno di dirti qualcosa di terribilmente stellato, di rocamente cospicuo, di affabilmente umido.

Qualcosa che istituisca il giunco e il diadema, qualcosa come un suono di lucertole, un fumo lavato nella sabbia, un diaframma di vigore.

E devi udirmi con simmetria paziente, con ospiti, con acqua cicatrizzata, mentre nelle tue orecchie si rovesciano le tenebre, e uno zampillo secco aspetta nell’aria, e una stanza si corruga.

Ti dirò ciò che in mille mutazioni della tua carne ho appreso, ciò che un amore veloce ha sottomesso, ciò che in te scende devastante come feroce albero temporaneo, quanto di indicibile, di intrinsecamente labiale ti percorre e ti altera, l’incendio che instaura la tua bocca e destituisce la tua schiena.

Nel tuo mattino inferiore

si arrestano leopardi

nel corsivo del tuo piumaggio

si perpetrano avori

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Lavoro su una sponda di saggezza e di combustione

per vederti lentamente

per assediare l’incenso che ti sospinge

nella lava centrale degli amori e degli osanna famelici.

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28.11.1979

Prilla con autorevole luce

Prilla con autorevole luce

empie dei suoi avvitamenti pani e fiale

e simulacri di zinco; impone pialle

e creste e anomalie; avvia erranti

strumentazioni, il cui rosa pervicace

si affianca alle testuggini

sboccia in ipocondria di capodoglio.

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È soggetto di spazi

percorritore di acque monotone

e algebre limacciose, fra rosse rimostranze

e contatti esitanti.

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Il bordo d’alta frescura

entro cui passeggia e trascina le sue carte,

i suoi piedi di carta, di semaforo,

le sue segnalazioni piovose, la nidiata di ulcere

sotto una torrenziale carne che cade

e una camicia che si dibatte senza lotta

corre sui crinali con ansia di treno

con velocità di preda divorata.

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Immagino che una sera, schiantandosi su una tovaglia di voci

apparsa di colpo sul vento, fra due fanciulli di vento,

alle spalle di una disperata brughiera che esiste da un’ora

disturbata da navi fioche e nere sirene

debba trattenersi più del solito,

controvoglia, e le sue gomene adirate

derubino la terra e spoglino il sale

sfruttando e asciugando, umiliando cantieri,

lasciando solo grondaie e debitori

e spigoli corrotti, e odore di midollo.

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Però una libbra, un velluto,

però un pezzo di cuore in un canale

passano come strappi nella terra

e trascinano reti di viventi

e riannodano i canti.

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20.11.1979

L’esatta luminescenza della spiaggia

L’esatta luminescenza della spiaggia di gesti incompiuti

in un riquadro di grida quasi profezie statiche retrocesse nel caos

dalla mano dello spasimo

frana dei cuori nei loro sacchi

cecità delle vertebre, trapestio e rimescolio nel corso di un’azione di colori agitati con elementi d’uomo

bocconi di vita fra le pareti provate dalle intemperie dell’intelletto

la dissoluzione rincorre

le mie membra senza suono.

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29.10.1979

Il presagio di una movenza apre la grandine del verso.

Il presagio di una movenza apre la grandine del verso.

Sostantivi calcarei nel letto della prosa schiumante

tromba di legioni trafugate

rendono giustizia all’albatros, ai suoi appelli che rinunciano al mare,

al baluginio di squama del pensiero.

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Oltrepassiamo il sangue

invischiamoci nell’ocra dell’infermità e dei santi

non pentiamoci di aver formulato un augurio di rondine accorata.

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Un implicito vento nel terrore che scorta la nostra fuga

un’intesa di cancri nello zolfo che addenta i nostri passi.

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8.10.1979

È il canto circolare delle gerarchie malinconiche

1

È il canto circolare delle gerarchie malinconiche

il canto mormorante degli Ordini di Sambuco

la digressione di colombi nel porfido

la guerresca apostrofe alle schiere di seta.

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Dovrei vivere una stagione da antiquario

innestandomi alla confluenza degli specchi

e impolverarmi di sole, ritto sugli estuari

cadendo nei volti in fermento per indurvi il basalto

prima che la canzone si stagli col suo profilo finale

e l’usignolo si addormenti sui cardini.

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2

Riandando per l’acuto zafferano dei sogni

svolto nei ritmi e nelle fantasmagorie:

dilapidate memorie d’uccello estenuato

spossanti bagni di piume

e un passato di piazze gremito in un pianoforte che toccano i miei peccati d’allegoria.

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3

Questo è il capitolo di legno e di fatica

qui avviluppo il mondo nella sua vicenda di stille

qui i dettami più lividi:

cogliere strali d’acqua su tormentosi sentieri,

sminuzzare il pastello dei fulgori.

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4

Dal nodo inerte

divincola il giorno il suo rettile.

Non doni al nulla la sua rivelazione

la medusa suprema.

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4.9 – 16.9.1979

La tua casa di soffio, la tua carne d’alito

La tua casa di soffio, la tua carne d’alito

gettano sorde trame sui miei mostri terrestri

e mi ribello in una punta in cui si acumina il dolce

esperanto dei naufraghi.

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Ti abbassi con astri, con linguaggi

a lambirmi nel mare insonne

pavimentato con torbide erbe

chiuso da occhi ventosi, da raffiche di Lestrigoni.

Eppure sarebbe stato un tenero trapasso

ricordare con te la tua mole di calda ombra, 

i tuoi denti, i tuoi gorghi

di pensanti ametiste.

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Non noto intorno a me che le tue gambe

(consumano il mio vinto spazio)

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28.8.1979

Attendo la fine del convoglio filosofico

Attendo la fine del convoglio filosofico

palazzi edificati sul pathos

il cui lento canone annuncia l’ascesa del mistero

e silenzi abitati da verità schive

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È la ragione che prolifera in sembianze di voci

il concetto versato negli occhi

genera paesaggi e liquidi tumulti

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L’inatteso colore dei risvegli

(rinasceranno le folle di meridiane festose?)

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Si spezzano gli anelli sforzati dal severo enunciato

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Condannato ai terremoti del buio

quale oltre? dopo la gloria dissennata degli slanci

e le riflessive arche lunari

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vorrei morire fontana

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9.7.1979

Tuffo le ciglia nei miei pensieri

Tuffo le ciglia nei miei pensieri

in cui nuoti come un asteroide di tenera polpa.

Che lungo giro siderale per venire a te

che catena di abbandoni punteggiata di fosfori crudeli.

Non faccio che nascondere le mani sotto una coltre evasiva,

bere alla tua fiaccola, succhiare l’incantesimo dei tuoi piedi.

Trasmigro in te inquietamente

moltiplico le ali intorno al tuo nome

accendo allodole di devozione in cieli che ti ripetono.

Dal mio volto cade la città a scaglie

e il buio, bestia che corre a rintanarsi.

Un vento triste e molle, l’amarti.

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9.7.1979