Il portatore d’acqua sul pontile

Il portatore d’acqua sul pontile domanda pazienza: la sua andatura antica, le sue spalle prosaiche, la sua stessa figura scomparsa sono di monito ai moderni.

Battaglioni piumati su cuscinetti d’aria pattugliano i raccordi fra i capisaldi, tecnicamente imprendibili, ricolmi di armi caduche. La speranza traina il suo carro sonnolento dal pontile alla greppia e dalla greppia al punto di vettovagliamento. L’incontro dei militari coi buoi è un calmo interludio fra due doveri di guerra e di donne.

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3/11/1985

Estrarre la cavernosa ispirazione

Estrarre la cavernosa ispirazione dagli alveoli della terra. Maneggiarne con cura le nude porosità. Blandirne le impudiche madrepore.

L’arcana lezione al passaggio solleva cavalloni di polvere sul piano di fòrmica nera.

Il vantato fuoco rattenuto, dall’aroma di robinia, dal suono di conversazione monolitica, sventola fiammelle disordinate sul terreno. A malapena rischiarano il passo dell’esegeta infreddolito.

Altre cannule incandescenti fra i capelli attorti, vasi di pressione sonora e micce musicali: fruscia la notte rubizza conclusa nelle orecchie; il toporagno corre sull’accordo diminuito.

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3/11/1985

Era il tempo del pasticciamento felice

Era il tempo del pasticciamento felice, della disordinata concretezza, quando profondevo succhi ed iperboli e scompaginavo i quadri.

Non temevo il ricatto della ragione, la necessità del sentimento. I miei turbamenti erano cromatici, l’ossessione veniva aggredita a colpi d’ascia. I tramonti venivano taciuti, i pendii frastagliati di palizzate, le case si sgretolavano prima di invecchiare.

Il grande respiro sovrano risucchiava ed alterava le linee, gli elementi del miscuglio ripiombavano giù deformati.

Niente è cambiato da allora.

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26/10/1982

Decretai due editti

Decretai due editti, quindi scesi nella piazza. Era una calda giornata floreale; gli altri monarchi passeggiavano sotto le nubi di maggio, a braccetto, biasimandosi i manti e ripudiando gli strascichi. Ai balconi, un afrore di luppolo vergine ingentiliva la sera.

Un cavaliere accorse al galoppo: recava al guinzaglio un cavaliere nano su un cavallino, con un dispaccio nella sella. Il cavaliere adulto crebbe rapidamente e sulla sua fronte spuntò un diadema da regina, mentre il cavallino disarcionava il suo distratto cavallerizzo, che si affrettava a consegnare il telegramma ai re-fantini.

Non osando consultarsi, i regnanti lessero in silenzio e meditarono ciascuno la sua risoluzione, che comunicarono alle polle e alle caverne.

Gli avventurieri, in gruppo ma ognuno con occhio solitario, si disputarono a carte il privilegio di intraprendere gesta cantate e degne di ribalde celebrazioni. Gli esantemi fiorivano sui loro gomiti.

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Perché le storie repubblicane non hanno fascino? Il medio sognante evo del mondo, fiume tenebroso di favole nordiche, si sbraccia nelle nostre allucinazioni di vegetali. Lampi radi, ardendo i viaggi tra le colline buie. 

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19/9/1982

Combatto lo scerpamento

Combatto lo scerpamento, la distruzione della linfa, l’invetramento della lingua.

L’avversario mi siede di fronte, sono io con le mani in grembo: viaggiatore urgente di sogni altrui, tocco la materia piovigginosa, cadente con maestà ciclonica, come lievito contraddetto.

Tirato per i capelli dal quotidiano, cerco una conca per i miei propositi di abbondanza, una nicchia specchiante per la mia costruzione di lacrime.

Conduco seri destrieri di retorica, annoiato nelle stanze del cocchio.

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28/4/1982

Iscrizioni bustrofediche

Iscrizioni bustrofediche sulla pelle di seppia in presenza del Grande Visionario rivelano che alle nostre spalle una cascata di cosmogonie si rompe in talco e lustrini.

Una serie di pagliericci vuoti, una fila di magazzini per i grandi destinatari di lettere, una schiuma di monadi sulle alture cittadine: trapasso tutto questo come sogno rissoso di cavallo fluviale.

Murato in enigmi panciuti, ridanciani come una danza di scope, offro ai sopravvenuti una fatua corolla, inculco in essi una dolce insipienza; un cespo di tabacco unisce i nostri piedi.

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6/5/1981

Sei ancora tu che mi aspetti

Sei ancora tu che mi aspetti, con paglia azzurra e salnitro spezzato: vicino al tuo cuore si arrampicano dolci paure, ed io rimonto con un loto sul braccio il fiume riflessivo delle tue iridi.

Ti ho sorpresa bagnante ad un guado di cera maestosa e di tabernacoli lampeggianti.

Ho scardinato il dente colossale di cui ti eri fatta un’armatura.

Le Atlantidi ansiose di essere scoperte dai tuoi navigli, le ho espugnate in un soffio, estinguendole con uno sguardo d’orso e un molare rabbioso.

Ciò che ti aspetta è la gravità: della cella, dell’inchiostro affiorante dal piancito, della raspa, la cui voce stregata ammonisce gli impietriti e i loro figli brulicanti nel mattone.

Riesco a evadere da te, a sperperare i tuoi fianchi: l’antagonismo eccitato dei nostri sforzi di languenti, il bramire dei corpi impegnati a devastarsi. Raccolgo la sabbia della tua clessidra infranta: ai primi tepori si liquefa e si aggiunge alla mia pelle. La mia pelle si decuplica, ti veste con metri e metri di epitelio e pori, come un grande mantice umettato.

Esci nelle strade, vestita di clarini.

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20.10.1978