La leggenda narra che, alle nozze di Peleo e Teti, non venne invitata la dea della discordia Eris. Possiamo anche immaginare perché.
La suscettibile divinità non la prese bene e decise di vendicarsi con la sottile perfidia che la distingueva. Lanciò sulla tavola del banchetto nuziale un pomo d’oro (a lungo si sostenne che fosse in realtà una mela, fin quando non fu chiarito che era la stessa cosa. Pomodoro, infatti, si scrive tutto attaccato). Sul frutto figurava la scritta “Alla più bella”. Salomone se ne sarebbe impadronito all’istante e la avrebbe tagliata in tante fette quante erano le donne presenti; ma, trattandosi di una leggenda greca e non del Vecchio Testamento, a nessuno venne in mente questa brillante soluzione. Si accese quindi una disputa fra Era, Giunone, Atena, Minerva, Afrodite e Venere per aggiudicarsi il frutto conteso.
La giuria di qualità eliminò subito Giunone, Minerva e Venere in quanto erano i nomi latini delle altre tre dee. Rimase quindi aperta la gara fra Era, Atena e Afrodite.
Come giudice fu scelto Zeus, che, fiutando puzza di bruciato, nella seduta preliminare pronunciò l’autoricusazione, ossia si dichiarò inadatto a decidere. Zeus era infatti il marito di una delle concorrenti e temeva che, se avesse scelto la moglie, l’avrebbero accusato di nepotismo; se avesse scelto una delle altre due, la moglie Era, già indispettita dalle sue numerose scappatelle, gli avrebbe reso la vita un inferno.
La scelta ricadde quindi su Paride, principe di Troia. Invece di pronunciare un verdetto di parità, come il suo nome avrebbe potuto suggerire, Paride ascoltò le offerte delle tre dee. La corruzione, infatti, aleggiava già a quei tempi nei concorsi, non solo di bellezza.
Era gli offrì il potere, Atena la saggezza. Afrodite, che aveva inquadrato al primo sguardo i veri interessi di quel damerino, gli offrì in moglie la donna più bella del mondo. Ovviamente una clausola scritta in caratteri minuscoli specificava che doveva essere una donna mortale; altrimenti Afrodite, una volta dichiarata la più bella, si sarebbe data la zappa sui piedi. Paride abboccò e la proclamò vincitrice.
C’era solo un dettaglio da risolvere: la donna mortale più bella del mondo, Elena, era già sposata a Menelao. Prima di affrontare il problema, a Paride toccò rabbonire le due perdenti. Così interrogò le tre dee:
– Era, che cos’hai di particolare, come dea?
– Sono la moglie del re degli dei.
– E tu, Atena?
– Sono la dea della sapienza.
– E tu, Afrodite?
– Sono la dea della bellezza.
– E questo che concorso è?
– Un concorso di bellezza! – risposero in coro le tre dee.
– Allora che pretendete, voi altre due? Era, presentati a un concorso per la moglie del dio più potente. Atena, gareggia in un quiz di cultura generale.
Il ragionamento non faceva una piega. Così i ricorsi presentati da Era e da Atena furono bocciati e Paride si salvò dall’essere incenerito da un fulmine scagliato da Zeus o trafitto dalla lancia di Atena.
Il resto della storia l’ha già scritto Omero nell’Iliade, quindi andate a leggervelo là. In libreria trovate anche i sunti.