Su di me, coricato,
fluttua la veste del giorno.
Inesperto di molle e balestre
esito ad addentrarmi nei suoi macchinari.
Seduto sull’armadio, compagna una fiera
dalle caviglie affusolate, il piede arcuato nella scarpina lucida,
ci baciamo: una misura classica ci allaccia,
turbata e sciolta subito
dai nostri sfatti pensieri.
Ancora uno strascico d’occhi accesi,
una falda notturna che sbatte nell’aria:
già ci sovrasta il terremoto urbano
col suo forte fermento,
piovendo il suo obliquo tricolore
di fango, rumore e gas.
È l’ora, mia stellata.
Mio picco, mia statura,
mio omicidio impunito.
È l’ora di accrescere i vivi per le strade,
di mischiarsi alla fretta svolazzante
con sottobraccio plumbei desideri.
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22/1/1983