A torme i binomi del nostro amore

A torme i binomi del nostro amore sorvolano le tavolozze estatiche

L’importanza di guardarci a idiomi aboliti: dagli occhi sgorga una paura gioiosa

L’attesa e l’incontro, la nostra fragilità dipinta sulla pellicola delle onde

e l’immenso gioco pulsante che macina le estremità delle nostre anime.

Ci sorridiamo come se i millenni si increspassero sulle nostre labbra

Dalle nostre palme contrapposte si volatilizzano fibrille

Nuotiamo nelle nostre mani

Ci stempera il golfo senza occidente

Il reame assoluto dorme sui nostri cardini

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1977

Desidero versarmi in te

Desidero versarmi in te come una polverina in un ruscello. Intorbidarti. Prenderti la lingua fra due dita fermandoti le parole in bocca. Dormire con la bocca sul tuo collo. Sei tu, o lei, o una? La mia presenza è una materia che ti attanaglia. Sono un rivestimento di coccio della tua anima. Un’alba nel tuo grembo. Un macchinario nell’officina del tuo corpo. Un viandante nelle tue vene. Io sono te e tu sei i miei occhi.

Abito il tuo ventre, mangio nelle tue mammelle.

Non hai bisogno di sedurmi o leggere i miei pensieri. Mi possiedi biologicamente. Ti sei insediata nelle linee del mio corpo, come il carnefice diventa la sua vittima appena sgozzata.

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1977

Dalla coltivazione del tuo corpo

Dalla coltivazione del tuo corpo, dall’ardore incessante cui lo sottopongo, mi aspetto che nascano pantere bianche e vampe di lino.

Sbalzati nei cirri di una lotta gloriosa, sospingiamo le nostre armate ai confini dei corpi. I miei plotoni sciti vanno incontro al temporale della tua pelle. Le tue torme assaltano la mia barbara esultanza di cammelliere.

Scorribande presso le tue ginocchia, rivoli di platino muto lungo le tue cosce. Ti mando al rogo con le mie arti burrascose; mi sgretoli con lo scettro dei tuoi latrati.

Il mio petto fronteggia lo sconvolgente destino dei tuoi paesi fiammeggianti. Il tuo torpore, che rivaleggia coi tuoi sussulti, scaraventa leoncini sul mio collo. È il momento di scempiarti, di piantare speroni nel tuo ombelico. Quando avrò smembrato le tue implorazioni clandestine e spezzato la liana delle tue indagini, sarai autorizzata a incatenarmi i piedi in cammino, strozzare i rampicanti sulla mia schiena, sgualcire l’iperbole del mio respiro. Ci ameremo inurbanamente.

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1977

Cominciai ad addentrarmi senza un perché

Cominciai ad addentrarmi senza un perché nel folto delle alabarde. Lasciavo una scia azzurra la cui origine attribuivo al mio stupore. I cuculi non mi distraevano; i diagrammi stesi sulla volta del cielo proteggevano il viaggio degli animali usciti da me e rientrati nella spelonca delle intercessioni. Il giorno dopo piansi presso i miei serafini.

Nel terzo sonno incontrai la bipenne di dura melodia e, al suo seguito, gli spaventosi magazzinieri coatti. Mi opposi al Pavone e ai suoi indecifrabili ugelli. Mi distaccai dalla Signoria, dalle rauche fantesche, dai trasalimenti dell’uomo appostato, fuggendo gli imminenti cieli biforcuti e i destrieri della vendetta.

Continuai a scavalcare al buio secolo dopo secolo fino in fondo alla calza, davanti alla porta del sellaio, che era un porticato con logge e terrapieni. Mi accampai per un’alba e un minuto, sottilizzando su questioni preliminari e intempestive, fantasticando sui pomi e le miniere di leopardi.

Il sellaio venne ad aprirmi già vecchio. Accennando con un gesto molle del braccio al suo Giardino della Velocità, mi suggerì altre teorie rilassanti che feci sgorgare da certe fontanelle asimmetriche non lontane. Mi parlò dell’Ortopedia e delle Cuspidi, di fondachi e fanerogame.

Lo piantai tra i fiocchi della sua perplessità.

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1977

Plaghe di battiti oleosi

Plaghe di battiti oleosi

l’uccello-meridiana sparge la sua lisciva di crude iridescenze

al vento pingue delle armoniche

respiro attico

turbamento di tenui astronomie

l’impulso perpetuo dell’Essere

boa che sfavilla

dove gli occhi e i tessuti si cimentano

mulinelli di vertebre e memorie

esplodono nozze di linee

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1977