Saluta la stagione fervente

Saluta la stagione fervente

stesa sul selciato di ossidiana,

chiusa nei petti che solcano l’aria.

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Cerchi in sonno parenti perduti,

morti o troppo cresciuti per ricordarsi di te.

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Rincorri inebetito il tempo

che tutto ha trasformato

mentre ruzzolavi sui greti

dipingendo scenari con gli occhi,

pregustando sorsate di vino

che in cantina hai lasciato irrancidire.

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Cuccioli in spazi aperti si accapigliano;

dal tuo cocuzzolo di sabbia

si allontana il guaito.

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15/3/2024

Il dire e il tentennare

Il dire e il tentennare

nell’aggregarsi del sonno

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Isole evanescenti, su cui il piede

frantuma sottigliezze

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Alberghi di morte ragioni

offrono agli ospiti fiasche di nepente

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Visito bui opifici

dove in segreto si limano stelle

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6/2/2023

Sobborghi latenti

Sobborghi latenti, euforia ridipinta,

scie di peregrinazioni

cantati da una lira esaurita

nei grandi mandamenti

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Ampie negromanzie

recintate da fasci di sorrisi

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Ieri ho liricizzato il sonno

manovrando con funi colossali

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Subentra il marmo al giaietto

urna di gelosie infossate

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27/6/2020

I fabbri sotterranei color del mosto

I fabbri sotterranei color del mosto

i cardatori del viluppo di miti

scuotono le redini della casa

ed imbrattano il sonno.

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Tornati alla luce infrangono i marmi

bagnano i rebbi nei corpi di spugna.

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Le mani, al ritrarsi,

elidono la cenere

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(roteando si smorza la rosa)

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agosto 1988

Rintocchi e sfriggolii nel bacile

Rintocchi e sfriggolii nel bacile

dove il futuro impasta la sua malta.

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Tentenna un sogno di cammelli

caldo viatico di lingue salse.

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È uno dei quadri che estraggo 

dalle cartelle del tempo.

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Un clangore di arcaici metalli

sgorga dal sonno

mitopoietico.

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Ma già al latte il frumento dei precordi

tostato sbiadisce nel freddo.

M’imbracano

le redini del senno.

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4/12/1985

Arioso

Il villaggio strumentale versa dal fianco il suo spumante di frasi intermittenti sull’area monotona degli astanti; con aerei calzari imprime rapide sofferenze su quelle teste appagate; marosi di note salgono ai loro occhi, attentano alle scriminature in ordine.

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Noi che, usciti dal rosso minerale

del sonno, in stazioni d’alta quota,

leviamo avidi, nel calice, la febbre,

non riudremo, in salotti sconsacrati,

l’avvenente celeste scalpiccio

dei clarini, la bianca solitaria

cavata della viola, od il profondo

tuffo dei timpani nel cuore.

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In scontrosi deserti capovolti

il cui soffitto di dune il grido irriga

d’equipaggi in pericolo,

arrostiremo in dispetto lucertole

d’ora in ora smarrendo della mente

il volo indeclinabile.

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19/8/1982

Accorrete alla lavorazione del manto

Accorrete alla lavorazione del manto!

Nelle stanze del refe i lavoranti,

carponi sotto il manto,

rivendono i ditali,

oppongono sonno a magia.

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Il sonno, con occhiate sgargianti e impetuose, lancia i suoi sergenti sulle valvole ed occupa i telai del giorno. Invece di morire, i tessitori

concedono alla bocca di emettere stoffa vacillante. Perché nulla si consumi prima della tessitura: circondano il campo della grana. Escono dal treno di lamentazioni al lavoro, dall’ultimo vagone

dalla bocca socchiusa: ed è notte. Attorno al minuto fulmineo, al rocchetto spento, riprendono l’organza nella lucciola. Stormisce una cifra nel bosco damascato. I dimoranti nel lembo non si risparmiano:

gli inutili, i preziosi, gettano gli aghi e meditano l’incompiuto. I compagni di pozioni, i colleghi di broccato esterrefatto, rilucono e vi iscrivono i sortilegi.

Quando, nel mese delle venticinque notti, il decotto sarà diluito e poi bollito, e le lagnanze della porpora subiranno il bagno del colore residuo, e un’acciaccatura cadrà dallo spartito, un giudice imperfetto statuirà il governo del velluto e dell’alpaca, come giovani buoi accoppiati, nella tesoreria delle stoffe.

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21/7/1982

Con rumore di infinità si urtano

Con rumore di infinità si urtano sul camion i bidoni di tenebre

correndo verso il crepitio dei rami bianchi

sotto i passi bagnati della luce.

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Calpesto un liquido interminabilmente nero che si versa dalle mie tasche,

fermentato con tuoni urticanti, apoplessie stranamente sorridenti,

arti di portentosi vasai che sagomano il cuore.

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Sciolgo i viticci e i dubbi femminili

di pellegrine che mi si affiancano con capelli interrogativi:

la loro veloce gratitudine

rischiara la direzione del mio sonno.

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Il viandare si perde brevemente in un coro

lanoso, che movimenta l’orizzonte.

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Siedo, e mi accerchia l’aria:

tiene a distanza il tempo coi suoi falchi

e gli uomini e le loro libagioni;

mi lascia

la punitiva intimità del cruccio.

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Dèi paludosi vengono in nostro soccorso

dardeggiando cinabro, arcuando i dorsi terribili,

inforcando cavalli di corno e meteoriti:

snidano gli avversari dal fondo del baco,

sciolgono i crocchi nei viali sottomarini,

commissionano elogi a cronografi imbellettati.

Li guardiamo combattere,

impoltroniti sognatori di future rovine.

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Solo nenie fioccano sui nostri campi bianchi,

la durlindana dorme nella buccina,

scolorita vetraglia

ritorna dalla pioggia.

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È un attonito e stracco almanaccare

sui panni trepidando sciorinati,

un’attenzione vischiosa al metronomo

che si attesta nel nostro respiro.

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Con rumore di immensità si urtano sul camion i sacchi di tenebre

in corsa verso il luogo dove crepita il ramo bianco della luce.

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7/5/1982