Fra templi e atenei si dibatte

Fra templi e atenei si dibatte

il dilemma divino, che infervora

le menti bianche all’apice

perse fra le magnolie e i gorgoglii.

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Il pensiero riottoso insuperbisce,

si decuplica in rivoli

che travagliano i secoli di marmo.

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Nell’immoto domani

la cinciallegra coglie la festuca

da regalare al nido.

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28/3/2024

Con rumore di infinità si urtano

Con rumore di infinità si urtano sul camion i bidoni di tenebre

correndo verso il crepitio dei rami bianchi

sotto i passi bagnati della luce.

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Calpesto un liquido interminabilmente nero che si versa dalle mie tasche,

fermentato con tuoni urticanti, apoplessie stranamente sorridenti,

arti di portentosi vasai che sagomano il cuore.

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Sciolgo i viticci e i dubbi femminili

di pellegrine che mi si affiancano con capelli interrogativi:

la loro veloce gratitudine

rischiara la direzione del mio sonno.

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Il viandare si perde brevemente in un coro

lanoso, che movimenta l’orizzonte.

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Siedo, e mi accerchia l’aria:

tiene a distanza il tempo coi suoi falchi

e gli uomini e le loro libagioni;

mi lascia

la punitiva intimità del cruccio.

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Dèi paludosi vengono in nostro soccorso

dardeggiando cinabro, arcuando i dorsi terribili,

inforcando cavalli di corno e meteoriti:

snidano gli avversari dal fondo del baco,

sciolgono i crocchi nei viali sottomarini,

commissionano elogi a cronografi imbellettati.

Li guardiamo combattere,

impoltroniti sognatori di future rovine.

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Solo nenie fioccano sui nostri campi bianchi,

la durlindana dorme nella buccina,

scolorita vetraglia

ritorna dalla pioggia.

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È un attonito e stracco almanaccare

sui panni trepidando sciorinati,

un’attenzione vischiosa al metronomo

che si attesta nel nostro respiro.

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Con rumore di immensità si urtano sul camion i sacchi di tenebre

in corsa verso il luogo dove crepita il ramo bianco della luce.

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7/5/1982

Da questo punto al linea tende al bianco ardente

Da questo punto al linea tende al bianco ardente. Incanala la sua polpa in sensazioni di fissità, arcaismo, progenitura. Irrora di fatica il bacino sempre più rugoso. Non chiede di meglio che spaventarlo con la sua fisionomia di crostaceo, col suo appetito di pianure. Gli danza attorno come un fiore selvaggio, lo schernisce mitragliandolo di palpebre, scalcia e strappa.

Il pescatore delle montagne, che tuffa la lenza nell’aria compatta e pescosa dei giovani sortilegi, vede e commenta: “se non fossi cigolante, se la mia corteccia lacrimosa, se il mestiere che mi ha reso adunco, laggiù, laggiù, chi potrebbe…”

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1977