Questi oggetti incatenati

Questi oggetti incatenati

questi ciottoli di sapienza

non sono che rimpianto. Il muschio si bagna nei cervelli sacri,

brucia da solo nella potenza delle camere.

Ho saputo tutto:

l’ansietà e il coraggio, l’insulto e la settima virtù,

il seme del lampo e la ionosfera, i barili di cenere solitaria,

i cavalieri di potassio che mietono capanne nascenti

e attrezzi e limoni di scienza. La scienza si è arrestata alle due porte:

quella della vita e quella degli animali ancora vivi. Potete assalirli

con ciliegie, perdite, denaro mentito nelle sciolte bocche.

Potete calmarli con bocche esagerate,

spinte fino a un bastione africano. Potete morire

ma allora non sapreste andarvene di lì, e i codici si ammucchierebbero sul vostro petto

e anche gli occhiali, e la superbia, ferma come un purgatorio nelle pance

e dovreste attendere la primavera. La primavera,

con un salto rapito e un movimento scomparso in cielo

si prepara a chinarsi sull’erba delle fronti

mentre i mariti del vento e il terrore dei palazzi soccombono tra due braci, e non c’è primavera in ascolto

né sorrisi mischiati o veloci ondulazioni:

c’è un Cristo coperto di esagoni e un rospo vermiglio

che inghiotte un pianto bruno e uno spavento sintetico;

c’è solo amido, e farfalle, e un’ostia di pesanti equatori.

Potete andare, o navigare, e nessuno vi coprirà di esuli.

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1970