Le piazze in cui mi aggiro,
senza sosta figliate da vie e vicoli,
sono ingombre di immani contrafforti.
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Non trovo via d’uscita
dalla catena austera,
di pietra millenaria testimone
mio malgrado infinito.
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21/2/2024
Le piazze in cui mi aggiro,
senza sosta figliate da vie e vicoli,
sono ingombre di immani contrafforti.
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Non trovo via d’uscita
dalla catena austera,
di pietra millenaria testimone
mio malgrado infinito.
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21/2/2024
Questi oggetti incatenati
questi ciottoli di sapienza
non sono che rimpianto. Il muschio si bagna nei cervelli sacri,
brucia da solo nella potenza delle camere.
Ho saputo tutto:
l’ansietà e il coraggio, l’insulto e la settima virtù,
il seme del lampo e la ionosfera, i barili di cenere solitaria,
i cavalieri di potassio che mietono capanne nascenti
e attrezzi e limoni di scienza. La scienza si è arrestata alle due porte:
quella della vita e quella degli animali ancora vivi. Potete assalirli
con ciliegie, perdite, denaro mentito nelle sciolte bocche.
Potete calmarli con bocche esagerate,
spinte fino a un bastione africano. Potete morire
ma allora non sapreste andarvene di lì, e i codici si ammucchierebbero sul vostro petto
e anche gli occhiali, e la superbia, ferma come un purgatorio nelle pance
e dovreste attendere la primavera. La primavera,
con un salto rapito e un movimento scomparso in cielo
si prepara a chinarsi sull’erba delle fronti
mentre i mariti del vento e il terrore dei palazzi soccombono tra due braci, e non c’è primavera in ascolto
né sorrisi mischiati o veloci ondulazioni:
c’è un Cristo coperto di esagoni e un rospo vermiglio
che inghiotte un pianto bruno e uno spavento sintetico;
c’è solo amido, e farfalle, e un’ostia di pesanti equatori.
Potete andare, o navigare, e nessuno vi coprirà di esuli.
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1970