Sarà lento, lento il mio viaggio

Sarà lento, lento il mio viaggio,

pieno di trafitture e fremiti,

ricoperto di pesci odorosi,

fiancheggiato da cenere e rimorsi.

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Porterò con me limoni di zolfo

e un’intera cassetta di soluzioni impossibili

col suo querulo cigolio

e le sue fontane di nebbia.

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Avrò occasionali compagni

battaglioni di insulti e rimostranze,

braccia conserte di donne alla finestra,

addii di venditori di tramonti.

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Quando oltrepasserò

la soglia dei venti ammansiti,

la rosa canina degli infermi

sarà la mia stella polare.

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9/1/2024

Incantatore dall’occhio allagato

Incantatore dall’occhio allagato

di battaglie macedoni, gesticolii,

strette di mano antiche, furiosi arcobaleni

le mie caviglie nel raggiro dell’acqua

assisto alla destituzione del cielo

lento sviluppo di globi gassosi

ozioso pescatore rosso che ridipinge i pesci

i piedi disciolti nelle correnti tigrate.

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5/4/1982

Cerimonia

Pesci quieti di lattescenza. Pesci-dragoni e ginnasti saltellano attorno al falò.

Liane attorcigliate alle braccia. Sonagli e spire cingono la vita. Caviglie inanellate.

Musi viola spuntano dal suolo.

Nel fango dell’ebbrezza, nella fiamma acida, i bramini si fondono con le tortore.

Whisky. Peccati rutilanti, cerchi ed ombre.

Negli alberi si dipingono cavità perverse.

Un’acclamazione di sedie schiantate, di cembali lacerati. Una notte rimbalzante.

La terra, tesa come una pelle di pecora, rigurgita di pietà febbrile.

Fischi e saette rigano la carta bianca sullo sfondo. Treni ed altri animali ronzano nelle maracas.

Una paura di bambina si avventa sulle crocefissioni, rizzate al centro nel silenzio e nello scoppio di bombe.

Il rituale non conosce insonnia, non ha bisogno di torpore.

Le tigri guardiane affilano la sete durante la proibizione di uscire.

Lunghe pelli vengono stese sulla montagnola dei tormentati. Le razze equine assistono, scolpendo schiuma con la coda.

Ora il paiolo è caldo. Una fine di tumulto indica l’allontanarsi delle preghiere. Solo un sibilo lezioso infastidisce gli astanti.

Più nessun accenno ai tre sollevati. Più nessun omicidio stampato sulle fronti. Si comincia.

Giuramenti e false bestemmie sfilano all’incedere del supplizio. Ottoni costosi ornano la macabra portantina.

Eccoli quasi a collisione. I dodici pali subiscono un rapido spoglio dagli incappucciati, che hanno posato il fardello.

Silenziosi come caverne, retrocedono nello Sputo Sospeso che li inghiotte. Intanto sofferenze granitiche montano sul pulpito della cerimonia.

Non c’è più luce da dire, non più molta pace da conferire. Odono e sentenziano.

Già qualcuno solletica le suole, già qualche gamba si stende in direzione della radura.

Il pasto non è durato che un minuto, fervendo ancora i preparativi; eppure alla gente non dispiace.

Il sangue biasimato non è riuscito insipido a quei sempliciotti, quantunque non sazi.

Si diffondono dei “Bene” e degli “È tardi”, mentre il fresco rulla i primi addii sulle chine.

Nello stesso modo dispersivo in cui i plaudenti fanno ritorno alle piroghe, l’ultima cattedra si lascia richiudere con un tonfo.

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1972

Tra pesci

– Branzino! Come stai? È tanto che non ci vediamo!

– Ciao, Luccio.

– Perché quell’aria afflitta? Che ti è successo?

– Mi sono sposato.

– Congratulazioni! Chi è la fortunata?

– Un’orata, conosciuta in una riserva ittica.

– Però non ti vedo contento. Cos’è che non va?

– Mia moglie è molto possessiva e gelosa. Mi ha allontanato dagli amici; a poco a poco mi ha fatto il vuoto intorno.

– Avresti dovuto dar retta al proverbio.

– Che proverbio?

– Il matrimonio è una prigione d’orata.